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La formazione militare delle ragazze. Il tripudio della confusione

Capitolo 8

Avevo sognato di fare a botte tutta la notte. Prevalentemente con lucertole-locuste bipedi che avevano un alito straziante.
Avevo sognato che le facevo a pezzi a mani nude.
E mentre spezzavo ossa e chele e spargevo intestini e sangue verde su prati rachitici mi complimentavo con me stesso. Una roba tipo: “Wow! Non credevo di essere così forte!”
Non serve uno psicanalista per capire che il mio inconscio era stato influenzato dagli eventi degli ultimi due giorni.

Stavo ancora con gli occhi chiusi ma già avevo percepito una presenza nella stanza. Mi fissava insistentemente. Avrei preferito non aprire gli occhi in nessun caso. Ma ben presto mi resi conto che la presenza non avrebbe smesso di fissarmi. Quindi mi rassegnai e guardai.
Miriam era di fronte a me.
Mi osservava con l’espressione che si usa guardando una grossa cacca. Mentre ci si chiede quale bestia può averla fatta così grossa.
“Ciao!” Dissi.
“Che ci fai qui?”
“Passavo...”
“Anche questa volta ti sei scopato mia sorella a tua insaputa?”
“No questa volta no.”
Odio gli scontri interpersonali. Non servono a niente. Ma in questo caso mi faceva piacere vedere che era incazzata. Mi sentivo gratificato.
“Beh, riprenditi. Hai una mattinata intensa. I nostri salvatori vogliono verificare che tu non contenga virus potenzialmente letali per la comunità. Ti aspettano in infermeria.”
“Come la trovo?”
“Segui i cartelli.”
Non disse altro e se andò.
Io sorrisi.

John Mac Cluan, nel suo trattato sulle dinamiche di massa, spiega che una comunità fortemente coesa, che tende a percepire il resto del mondo come nemico/minaccia, svilupperà comportamenti ossessivi miranti all’autodifesa.
I rituali di sicurezza e i riti di affiliazione diventano via via più complessi e incomprensibili col crescere del tasso di paranoia collettiva. Ugualmente si svilupperà la dipendenza da un capo.
Si tratta di tre fattori intimamente connessi e interdipendenti. Autorità, paranoia e rituali sono il cemento delle sette e delle organizzazioni clandestine. Non importa se si tratta di studenti drogati, eretici, tifosi di calcio, terroristi politici o semplici criminali.
Quello che stavo per scoprire era che anche i miei ospiti erano leggermente fissati…
Quando arrivai all’infermeria fui preso in consegna da una dottoressa cinquantenne che mi fece fare il giro di ambulatori con signore in camice bianco (tutte donne), che mi fecero spogliare completamente, mi diedero una specie di accappatoio stretto e corto, mi auscultarono e mi tirarono sangue, mi attaccarono ventose e sensori, prelevarono frammenti di unghia, gocce di saliva e capelli brutalmente strappati con tutta la radice e mi infilarono in una serie di macchine che mi guardarono dentro.
Un trattamento spersonalizzante.
Poi la mia accompagnatrice, mentre ero ancora sommariamente coperto soltanto dall’accappatoio, mi passò a una sua collega del settore psicologia: un’altra cinquantenne con le labbra rosse come buccia d’arancia e una corporatura decisamente formosa.
Mi fece distendere sopra un ennesimo lettino, mi mise in testa una retina di plastica piena di sensori che mi aderivano al cranio, mi spalmò i punti di contatto col cuoio capelluto con un’emulsione e iniziò a osservare un monitor e a farmi domande: scuole frequentate, malattie, vaccinazioni, rapporti con alcool e droghe, attività lavorative. Dopo una decina di minuti, con un gesto fluido aprì il mio accappatoio e prese il mio pene saldamente in mano. Mentre io restavo paralizzato dallo sconcerto lei mi chiese: “Tu odi la nostra organizzazione?”
E poi continuò con domande simili: “Sei qui per spiarci?”
Contemporaneamente entrò un’altra donna, giovanissima, e iniziò a far scorrere i palmi delle mani lungo il mio corpo, senza toccarmi, mantenendo una distanza di un centimetro tra i suoi palmi e la mia pelle. Muoveva le mani come fossero i sensori di un metal detector.
Intanto l’altra continua a chiedermi se ero un traditore infiltrato bastardo usando una voce piatta. Mi chiedeva se tifavo per qualche squadra di calcio e quale era il mio film preferito.
Sempre tenendo saldamente il mio membro.
Una cosa veramente imbarazzante!
Quella messa in scena aveva l’evidente scopo di destabilizzarmi e permettere alla macchina di osservare le mie reazioni in una situazione di shock.
Pensai che se i numeri che stavano apparendo sul monitor del pc fossero stati quelli sbagliati rischiavo di morire di lì a pochi minuti. Poi notai che tutta la sequenza a partire dalla sfilza di controlli medici era costruita abilmente proprio per portarmi in quella stanza con le batterie energetiche al minimo e quindi più facilmente espugnabile da una serie di domande dirette e pratiche sessualmente anomale.
E’ evidente che se una sconosciuta ti stringe il pene con forza, all’improvviso, un minimo di sbalzo emotivo ti pervade. Se sei umano, vivi in questo millennio e non sei ancora cadavere.
Per fortuna non ci furono aumenti volumetrici, il che mi evitò un’impennata dell’imbarazzo.
Era la cosa meno sensuale che avessi mai vissuto.
Quattro ore dopo ero ancora vivo ed ero seduto nella sala mensa dove un centinaio di persone consumavano un pasto salutista. Grandi tavoloni di legno e panche.
Era sera, anche se non si vedeva perché eravamo sottoterra. Servivano la cena alle sei di sera. Una cosa da Alaska. Alle sette piacciono le stranezze.
Stavo mangiando un piatto di spaghetti cucinati approssimativamente ed ero seduto vicino alle tre sorelle: Miriam, Noemi e Ester. Ester mi guardò in modo neutro, quasi non fosse successo niente quella notte in camera sua. Miriam sembrava aver dimenticato il risveglio traumatico al quale mi aveva sottoposto.
Forse era al corrente dell’investigazione paramedica che avevo subito e questo la soddisfava come una vendetta…
Miriam addentò una mela e mi disse: “Mi spieghi cosa hai messo sul tuo blog che li ha fatti così incazzare?”
Mi sembrò giusto rispondere in modo esauriente. Non avevo niente da nascondere e ci tenevo a chiarire che ero capitato in quella storia senza alcun motivo plausibile.

Il testo incriminato
Dissi: “Mi sono reso conto che è in corso un grande scontro culturale tra i sostenitori della scienza e tutta una serie di teorici del magico, degli extraterrestri dei complotti e della fine del mondo.
Da una parte i neomistici forniscono una serie di informazioni false, imprecise o irrilevanti cucendo teorie sul nulla. Ad esempio, quella lettera sulla frequenza del numero 11 intorno all’attentato delle Torri Gemelle.
La lettera fornisce una serie di numeri (11-9-2001, la sigla dell’aereo schiantato, il numero dei morti) e dice alla fine: non è incredibile che il numero 11 appaia così tante volte?
Non dice altro ma evidentemente allude a qualche cosa di soprannaturale.
A questa missiva molti hanno risposto dimostrando che parecchi numeri sono sbagliati. Le coincidenze si basano su falsificazioni: numero sbagliato dei morti, sigle di aerei errate eccetera.
E così sottintendono che non vi sia nessuna coincidenza particolare basata sul numero 11 il giorno degli aerei dirottati.
Quel che io ho scritto è che entrambi i partiti stanno delirando.
I difensori della scientificità si dimenticano che una volta che si eliminano i dati inesatti la quantità di 11 che appare in relazione agli attentati delle Torri Gemelle è comunque enorme!
Potrebbero spiegare questo fatto utilizzando elementari leggi statistiche ma non lo fanno… Forse sono convinti che il grande pubblico non possa capire la logicità di queste leggi matematiche e si convinca ancor di più dell’esistenza di prodigi mistici e complotti degli Illuminati.
Sulla barricata opposta ci sono persone che si stupiscono per qualche cosa che è banale quanto l’acqua calda e creano teorie assurde perché a scuola quando spiegavano statistica cadevano in uno stato di ipnosi catatonica.
Ho spiegato semplicemente questo nell’articolo che ho pubblicato sul mio blog: ci sono due schieramenti ideologici che si scontrano animati dalla stupidità o dal disprezzo dell’altrui intelligenza. Non pensavo certo che poi qualcuno avrebbe cercato di catturarmi o spararmi per questo.”
Le guardai, una per una in viso, per vedere che effetto aveva fatto il mio discorso.
Miriam ricambiò lo sguardo con un’aria interrogativa, storse un po’ la bocca e poi disse: “E allora?”
“E allora che?”
“Allora qual è la legge matematica che spiega l’alta frequenza del numero 11? Non ci reputi abbastanza intelligenti per enunciarla?”
“No, per carità. Non volevo annoiare.” Mi guardarono senza espressione. Tutte e tre. E allora ebbi la netta conferma che erano veramente sorelle. Identiche!
“La principale legge della statistica riguarda la distribuzione omogenea dei fenomeni.
Se butto una moneta 100 milioni di volte la moneta cadrà un numero pressoché uguale di volte su ciascuna delle sue facce.
Ma il secondo principio della statistica è che se io butto la moneta solo 10 volte avrò molto probabilmente più uscite testa o più risultati croce.
Sui piccoli numeri è facile che si verifichino squilibri distributivi. (1)
Se prendete qualunque giorno dell’anno, trascrivete i numeri relativi ai fatti che occupano le prime pagine dei giornali di quel giorno, e andate a vedere quante volte ricorrono i numeri da 1 a 20 scoprite che quasi sempre (non sempre) vi è una certa cifra che è più frequente. Non potrebbe essere altrimenti.
La cosa non ha un significato particolare. I prati sono verdi, il cielo è blu e in certi giorni succede per caso che un numero o certi fatti siano più frequenti…
Possiamo semplicemente dire che è in un tal giorno dell’anno è successa una cosa strana… Una casualità particolare…
E ci sono poi giorni che sono particolarmente particolari.
L’11-9-2001, ad esempio, data nella quale mancano 111 giorni alla fine dell’anno, nell’11° Stato degli Usa, vengono distrutte le Torri Gemelle, che hanno la forma di un 11 e il primo aereo a schiantarsi è il volo numero 11.
Ma l’11 settembre è anche un giorno eccezionale nella storia, sono state combattute molte più battaglie importanti rispetto alla media riscontrabile nella maggioranza delle date.
Ma l’11 settembre non solo ci sono state molte battaglie generiche, di queste ben quattro sono notevoli.
L’11-9 dell’anno 9 dopo Cristo, l’avanzata romana in Germania viene definitivamente fermata nella foresta di Teutoburgo.
L’unica volta che i nativi americani sono riusciti a distruggere una città dei bianchi è avvenuto l’11-9 del 1541, a Santiago del Cile.
E l’11-9-1683 Giovanni Sobieski libera Vienna dall'assedio turco e ferma per sempre l'avanzata ottomana in Europa.
L’11-9-1973 avviene il golpe in Cile.
E poi c’è 11-9-2001.
Se poi aggiungiamo che la chiesa Cattolica onora in questo giorno ben 9 martiri (2), un numero eccezionale rispetto alla media, abbiamo un bel pacchetto di casi coincidenti.”
Mi produssi in un’aria soddisfatta. Mi pareva di aver fatto un discorso chiaro.
“Tutto qui?” Chiese Noemi con un sorrisetto.

Stavo per rispondere quando iniziò a sentirsi uno scampanellio. Non era molto forte ma la mia attenzione fu richiamata dal fatto che tutti i presenti di immobilizzarono. Due inservienti lasciarono cadere le scope, uno urlò: “Siamo sotto attacco” e poi tutti corsero verso l’uscita della sala mensa. Anche noi scattammo in piedi e raggiungemmo rapidamente il corridoio.
Incrociammo una decina di persone che trasportavano fucili, mitragliatori e cassette di lamiera piene di proiettili e già aperte. Ci urlarono di correre nella grande sala.
Cosa avevano intenzione di fare?
Forse la cosa migliore non era raggrupparsi nella grande sala ma trovare un nascondiglio.
Non ero proprio sicuro di volermi fidare del loro sistema di difesa. Ma non avevo idea di cosa stesse succedendo. Quindi rimandai ogni decisione.
Nella grande sala c’erano già una cinquantina di persone. Per lo più anziani e bambini. Un paio di donne col pancione e un ragazzo con la gamba ingessata.
Alcuni anziani erano armati. Uno aveva un elmetto dei marines in testa. Le tre sorelle si erano avvicinate ai bambini.
Ci furono un paio di forti esplosioni seguite dal frastuono di muri e travi che crollavano. Evidentemente eravamo sotto l’attacco di una forza che non poneva limiti alla sua azione militare. E che aveva i mezzi per farlo.
Sentii una corrente gelata salirmi lungo la schiena e subito dopo un’ondata di calore arrivarmi in faccia. E quel sapore metallico in fondo alla gola.
Come sangue secco.
Le luci si spensero e dopo un attimo si accesero le lampade di emergenza che emettevano una luce azzurrognola e debole che dava alla sala un aspetto drammatico.
Una donna gridò: “Tutti al tunnel! Seguitemi.”
Il gruppo si mosse dietro di lei ma non tutti. Una decina di anziani  presero a rovesciare tavoli, sedie, carrelli e altri arredi creando una barricata.
“Resto con voi!” dissi avvicinandomi. L’anziano calvo, con gli occhiali arancioni, col quale avevo parlato al mio arrivo alla Fortezza, mi disse: “No. Vai con gli altri. Ci pensiamo noi a rallentarli.”
“Volete fare gli spartani?”
Il vecchio mi guardò con la mente altrove. Dopo qualche secondo di silenzio disse: “Vai. Non ho tempo da perdere. Rispetta la nostra decisione e non costringermi a spararti. Nei momenti di emergenza la disciplina è tutto e va fatta rispettare. Io qui sono il capo. Vai via!” Dopodichè puntò la canna del grosso mitra che imbracciava direttamente contro la mia faccia. Dai suoi occhi capii che non avrebbe esitato a spararmi. Conoscevo quello sguardo. Conoscevo quello stato d’animo. Una particolare stato di follia durante il quale non sei capace di considerare la tua eventuale morte come un aspetto significativo della situazione. E’ uno stato d’animo che ti porta ad agire in modo piuttosto rigido. Qualunque flessibilità ti farebbe perdere la concentrazione sul tuo scopo. E in quei momenti è determinante il tuo livello di focalizzazione…
Aveva deciso di morire con i suoi amici e non aveva intenzione di tollerare cambiamenti di programma.
Decisi di rimandare la mia dipartita. Uscendo da quella grande sala guardai quegli uomini che si apprestavano a morire.
C’era qualche cosa di poetico nel loro modo di muoversi.
Incredibile come a volte gli esseri umani riescano a rendere elegante una cosa così scomoda come la morte.
Raggiunsi il gruppo che si dirigeva ai tunnel. Noemi era l’ultima del gruppo, aveva in braccio una bambina che poteva avere 3 anni.
Le chiesi se potevo prendere la bambina in braccio. Ma la piccola stava piangendo e sicuramente sarebbe stata più tranquilla con Noemi. Me lo fece capire con un solo sguardo.
Non potei fare a meno di notare quanto fosse bella.
Sentii un forte calore allo stomaco.
Esplosioni, pericolo, donne da proteggere, bambini da salvare, sono queste le cose che riescono a scatenare le scariche emotive più potenti. Droghe che ti resettano il cervello sono pompate violentemente nelle tue vene, orde di ormoni portano alle cellule ordini inderogabili.
La chimica della paura, della speranza, dell’ira.
Non sono belle situazioni ma non si può negare che in quei momenti ci si sente straordinariamente vivi.
Il buon vecchio istinto selvaggio che scattava nei nostri antenati maschi quando la tigre coi denti a sciabola (una bestia orrenda!) minacciava il branco.
Le droghe che il cervello produce sotto shock hanno proprio quello scopo: trasformare un tranquillo webmaster in un gorilla impazzito.
Un grosso gorilla impazzito.

Alla fine del corridoio scendemmo una rampa di scale e percorremmo un secondo corridoio che proseguiva a un livello inferiore, poi oltrepassammo una porta. Una stanza. Un pesante armadio che venne spostato da decine di mani. Un portellone che lasciammo aperto sperando che la nostra retroguardia decidesse di ritirarsi. E poi un tunnel strettissimo, nel quale dovevamo correre piegati. Piccoli led rischiaravano il percorso. Dopo dieci minuti di corsa un’altra porta di ferro. Fuori un roveto nascondeva un sentiero strettissimo. Poi un prato. A un centinaio di metri un bosco fitto che si perdeva nella notte.
Individuai le tre sorelle, si occupavano di far correre i bambini verso il bosco. Vidi una donna castana, con un berretto in testa che aveva un fucile a tracolla. Le dissi:”Dammelo che resto indietro a coprirvi.” Lei mi sorrise e me lo diede ben volentieri insieme a tre caricatori. Mormorò: “Non so neanche sparare…” Mi feci dare anche la pila che teneva in mano. Mentre i fuggitivi correvano verso il bosco la sistemai per terra, vicino all’uscita del tunnel. Con un paio di pietre la bloccai in modo che illuminasse eventuali inseguitori. Volevo sapere a chi avrei sparato e non rischiare di colpire qualche spartano superstite.
Trovai una grossa pietra a una ventina di metri di distanza. Era vicina a un canale che avrei potuto sfruttare per ritirarmi.
Calcolai di avere qualche minuto prima che arrivassero. Appoggiai il fucile per terra e mi misi a spostare alcune pietre lì intorno in modo che mi offrissero un riparo mentre scivolavo nel canale.
Non feci un gran lavoro ma mi tranquillizzò.
Il fucile era una carabina Remington con un caricatore da 5 colpi. Non avevo mai visto quell’arma ma grossomodo capivo come funzionasse. Misi il colpo in canna, tolsi la sicura e mi sdraiai per terra dietro il masso. Respirai lasciando uscire l’aria senza sforzo. Rilassa.
Avevo sempre pensato che uccidere è una cosa terribile. Ma in quel momento non ci pensavo.

Passarono parecchi minuti. Non saprei dire quanti. Poi la terra tremò. Dopo un po’ vidi un movimento all’uscita del tunnel.
Un uomo poi un altro. Tenevo il primo al centro del mirino. E respiravo come in un sospiro di sollievo. Se proprio dovevo ammazzare qualcuno dovevo essere sicuro che fosse un nemico.
Da come si muovevano capii che dovevano avere una certa età.
Non tutti gli spartani si erano fatti ammazzare. Sorrisi sollevato: per il momento non dovevo ammazzare nessuno.
“Eih! Chi siete?” Sibilai.
“Siamo noi!”
Dialogo imbecille. Ma mi occorreva solo sentire la voce di uno di loro.
Vennero verso di me: “Abbiamo fatto saltare il tunnel, gli altri sono morti.” Li lascia avvicinare tenendo sempre il primo sotto mira, acquattato nella mia postazione. Volevo essere prudente.
Poi riconobbi l’uomo calvo con gli occhiali arancione. Disse: “E’ inutile aspettare. Non verrà nessuno. Scappiamo per il bosco.
Affrettammo il passo verso la boscaglia. Loro non parlavano.
Tutti gli altri erano morti.
Chissà quanti…
Dopo un paio di chilometri iniziò a scendermi l’adrenalina. Ormai eravamo lontani e stavamo percorrendo sentieri di campagna. Avevamo superato un paio di superstrade passando sotto un ponte e percorrendo un sottopassaggio.
Fu all’ora che mi resi conto di tutto quello che era successo e iniziai a tremare.

NOTA 1: Se prendo in considerazione gli eventi da quando esistono cronache precise osserverò per forza che i diversi tipi di eventi non si sono distribuiti in modo uniforme su tutti i 365 giorni dell’anno. Potremmo avere un’uniformità di eventi se avessimo cronache di un miliardo di anni.
Ma se prendiamo in considerazione solo 2.000 anni avrò per forza che in alcuni giorni si saranno dichiarate più guerre e in altri si saranno realizzate più invenzioni.
Sui piccoli numeri avrò certamente alcuni addensamenti di frequenze di qualche tipo.

NOTA 2:
San Didimo, martire

San Diodoro, martire

San Diomede, martire

San Giacinto di Roma, martire

San Giovanni Gabriele Perboyre martire
San Gusmeo, martire

San Proto di Roma, martire

San Ramiro di León, martire

San Vincenzo, abate di San Claudio, martire

 

INDICE CAPITOLI

Capitolo 1 Ottima marmellata d’arance

Capitolo 2 Ragazze educate

Capitolo 3 Una situazione complessa

Capitolo 4 Agguati mentali

Capitolo 5 Eventi indecifrabili

Capitolo 6 La Fratellanza

Capitolo 7 Nera. Ma quanto nera?

Capitolo 8 Il tripudio della confusione

Capitolo 9 La Fortezza

Capitolo 10 Scatole dentro scatole dentro scatole

Capitolo 11 La Polizia Alchemica

Capitolo 12 Fisso il pensiero fisso

Capitolo 13 clicca qui

Capitolo 14 clicca qui

Capitolo 15 clicca qui

Capitolo 16 Pinin

Capitolo 17 Fine