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30 marzo 2017

La mia chitarra si chiama Nzevata, in Napoletano significa unta. E’ rosa e la amo.
Appena la ricevetti in regalo, tre anni fa, non vedevo l’ora di passarla a Fausto perché ci mettesse su le sue mani preziose, anche solo un momento, come a benedirla tipo quando si portavano le auto nuove alla Madonna di Pompei chiedendo la grazia che le proteggesse dagli incidenti. Anche se mi vergognavo io a dare in mano a lui una cosa così da poco, ma un po’ la mia sfacciataggine e un po’ tanto la sua disponibilità umana che ben conoscevo: “Fausto ti va di prenderla un attimo in braccio?” E lui subito la prese e con la sua schiettezza che io adoravo e che mi faceva sentire sua amica: “Ma… Chest’ é tutta sporca! Guarda qua… E’ nzevata! Fa schif’! Tu, bella mia, la chitarra la devi lavare, la devi tenere con cura. Le corde devono essere bianche!”
Ecco perché si chiama Nzevata!

Una volta, tempo prima, avevo chiesto a Fausto addirittura se mi metteva per favore le corde nuove alla chitarra di Alcatraz e lui non si limitò a cambiar le corde ma la pulì tutta meticolosamente.
Incredibile, un Dio della chitarra che lucidava un legno ancora assai meno di pregio di tutte le altre con una cura che io ho visto soltanto nelle madri con i loro neonati.

Stefano, un mio amico che ancora mi sopporta quando strimpello, fa: chiamiamo subito al Maestro e diciamoglielo: “Pronto, Maestro qui c’è Nora che si rifiuta di suonare il Si minore, dice che le fa schifo!” E dall’altra parte del telefono: “Fa bbuon’, chill’ nun serv’ a niente!”
Caro Fausto e adesso chi mi darà l’autorizzazione a non usare alcuni accordi? Chi mi ripeterà di continuare a suonare la chitarra da sola, senza andare a prendere lezioni rigide che mi toglierebbero lo sfizio e la passione nel suonare? Tu eri il mio Maestro!
Eppure tutti coloro che ti hanno conosciuto lo sanno come tu rispondevi ogni volta che noi ti si chiamava Maestro: “Il Maestro è uno solo e sta in cielo!”
E allora dico io: “Ma quale razza di Maestro si è permesso di portarti via da me, da noi? Vuole forse sfidarti alla chitarra? Ma lo sa che razza d’impegno si è preso? Ma ti ha sentito bene suonare? Deve essere un pazzo!”

Quella volta in cui dopo che mi arrangiasti i pezzi del disco, in un modo così generoso, io onorata e grata per questa fortuna troppo grande, pensando di renderti omaggio, esclamai: “Fausto ma ora dobbiamo mettere il tuo nome a lettere cubitali in copertina!” E tu: “Ma vuje sit’ pazz’! Me vulite nguaià!”
Ricordo quella mattina come una delle più emozionanti della mia vita: “Ciao Fausto, senti, io e Elena abbiamo scritto delle canzoni, ti scoccia sentirne qualcuna, ti mando il file e mi dici se proprio fanno cagare?”
“Certo! Mandamele pure e ti faccio sapere.”
In pratica è come se avessi telefonato a Del Piero per chiedergli di guardarsi un video dove ci sono io che gioco a calcio su un campo di patate.
E io proprio a Fausto lo avevo soprannominato il Del Piero della chitarra. E lui, pur se interista sfegatato, aveva riso con gioia ringraziando per il paragone. Soltanto i Grandi riconoscono il vero talento negli altri.
La generosità immensa di quest’uomo puro lo portò a richiamarmi non più tardi di una settimana per dirmi: “Ma o ssai che nun so mal! Je me penzav’ peggio. Dicevo, fammi vedere se ‘sti doje so’ impazzite… e invece so’ belle! Senti qua, facciamo una cosa, quando vengo là mi porto il mio registratorino e voi me le cantate e poi ci lavoro sopra!”
Non ci posso credere! Cioè io andrò ai mondiali e il mio campione mi passerà la palla e io farò goal?
Credo di aver raccontato a tutti per mesi questa telefonata. Sottolineando il fatto che un grande così si prendesse la briga di ascoltarci. E anche di lavorare su quelle canzoni semplici senza pretese.
Ma chi, ditemi chi, di quel livello professionale si sarebbe offerto mai per arrangiare i pezzi a due cantautrici in erba, con voci da regolare a ogni passaggio? E senza volere nulla in cambio.
E’ da allora che io credo in due cose: la mia fortuna e la mia fortuna ad aver conosciuto un uomo, un artista, un amico insostituibile… te Fausto.

Quel “Là” dove ci saremmo incontrati è Alcatraz, un posto che lui amava tantissimo e da cui è stato amatissimo. Chiunque di noi qui che abbia avuto il culo di sentirlo suonare non lo ha mollato più. Adorazione piena di amore. Ci ha regalato emozioni immense che molti di noi non le avevano mai provate prima nella loro vita. E’ stato come un primo innamoramento, come la tetta della mamma per un pupo, come la scoperta delle farfalle a vederle uscire dal loro bozzolo.
Grazie a Imad, noi abbiamo avuto la possibilità unica di condividere con te la tua musica ma anche tante risate e scambi di affetto. Eri generoso in tutto, pure per i selfie non ti sei mai negato.
Una cosa buffa era che anche tu, come se fossi uno “normale”, uno di noi, ti avvicinavi ad altri artisti noti per chiedergli di farsi la foto assieme a te. Incredibile! Mesolella che chiede lui i selfie! Ma tu avevi veramente capito chi eri? Chi sei?
Fausto bello quella tua umiltà ti rendeva ancora più fantastico. Tu sei sempre stato un gran collaboratore nel tuo mondo di musica. Con te e grazie a te hanno suonato e cantato migliaia di artisti. E tu anche nel privato amavi continuare a farlo, coinvolgendo chiunque ti si fermasse accanto. Quanto amore per la musica e per il genere umano che avevi in te.

A questo punto la gente che non ti ha conosciuto mi crederà pazza ma io giuro che non sto dicendo nulla di folle, basta mettere sù un tuo pezzo di chitarra e nessuno mai potrebbe contraddirmi o dire che esagero. Sono impazzita sì stasera, ma dal dolore. Perché io non volevo tu morissi mai! Ed è inutile che mi dicano che la morte non esiste… cazzo se esiste! Io non potrò più restare scioccata dall’emozione per un tocco sulle sei corde come mi succedeva quando suonavi tu dal vivo. Tu facevi “i buchi in petto” e oggi ci hai fatto un buco così grande che sarà difficile che si rimargini del tutto.
So già che non riderò più a perdifiato ascoltando i tuoi racconti buffi, aneddoti dall’ironia fantastica, presi da una vita assurda e speciale come la tua. Una vita intensa, dove ti è anche capitato da giovanissimo di andare a casa della Wertmuller e restare folgorato dalla bellezza e dalla pasta al sugo della Sophia Loren. E la tua disperazione per non aver una foto di quel ricordo per poterla mettere sul web “…n’copp’ a’ Facebook!” Un capolavoro assoluto di comicità!
Non potrò più abbracciarti e dirti in faccia che ti voglio bene.
Maledizione mio prezioso amico ma come si fa senza di te? Questo è il pensiero che mi tartassa da quando ho saputo che non ci sei più, pensando a Elisabetta la tua meravigliosa e spiritosissima moglie, Gaia splendida ragazza così innamorata del suo dolce papà, e la tua mitica suocera, la signora Angela, che ti cucinava tutti i giorni quando eri a casa ma soprattutto ti ha filmato con la sua telecamera portatile ogni volta che ti ha seguito in concerto. Centinaia di ore di girato, di te. Spero sia un giorno parte della loro consolazione poterti riascoltare in quei nastri.

Oggi no. Niente musica. Non è sopportabile. Fa male. Giù le chitarre, che nessuno si permetta di toccare le corde. E niente caffè!

Fausto, e mi viene di chiamarti amore, perché non si può non amare una persona così bella, siamo in milioni sai che te ne vogliamo, personalmente ti chiedo scusa se non ho avuto voglia da subito di condividere frasi in tua memoria su Facebook. Non ho messo una foto che ci ritrae assieme, nella mia foto di copertina, ma questo lungo testo, scritto di getto, è per te.
Tu per me hai fatto talmente tanto che io voglio che molti di più ti ricordino con la giusta ammirazione per lo straordinario musicista che eri ma anche per il tuo lato umano, unico e meraviglioso. Grazie di tutto. Grazie per chi sei stato. E da adesso grazie per cosa sarai per noi, quando il dolore si trasformerà in pienezza d’animo nel ricordo di te. “E io vado avanti!” … proprio come amavi ripetere tu.

Eleonora Albanese

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