Juan Arias (El Pais): Mia triste Italia

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Carissimi,
Questa settimana vi presentiamo un articolo di Juan Arias, tratto dal quotidiano spagnolo El Pais.
E’ un pezzo emozionante ed emozionato.
Buona lettura.

Nella foto Juan AriasMia triste Italia
Un paese che fu bandiera di liberta' e cultura e' comandato oggi da un politico che censura l’informazione che non gli e' gradita. Che cosa e' successo all’Italia? Perche' coloro che l’hanno amata fanno cosi' fatica a riconoscerla?
Di Juan Arias – El Pais 15/6/2009

Ho vissuto in Italia piu' che in Spagna: circa 50 anni. A questo paese che, secondo l’Unesco, riunisce il 36% dell’arte di tutto il pianeta, devo molto sia umanamente che culturalmente.
In Italia, dove studiai, dove ho respirato per la prima volta l’aria pura della liberta' – arrivando dal paese della censura, delle condanne a morte arbitrarie, dell’inesistenza dei partiti politici – mi diedero la cittadinanza per meriti culturali. Li' votai per la prima volta nella mia vita. Avevo piu' di 40 anni. In Spagna non si votava, si viveva solo nel terrore.

Ricordero' sempre quella mattina quando potei inserire la mia scheda elettorale nel segreto dell’urna. Il mio voto, mi dissero, ne valeva mille. Erano elezioni in cui gli italiani iniziavano a stancarsi dei politici, e questo invitava all’astensione. La Rai mi intervisto' chiedendomi cosa provava uno spagnolo che poteva votare per la prima volta. Parlai della mia evidente emozione e osai chiedere a coloro che intendevano disertare le urne che andassero a votare come a risarcirmi per non averlo potuto fare a mia volta per cosi' tanti anni. Dalla radio, in seguito, mi telefonarono per dirmi che migliaia di persone, comprese famiglie intere, volevano che io sapessi che erano andate a votare per me.
 
In Italia ho potuto pubblicare quello che nel mio paese non mi era consentito. Riviste e quotidiani mi hanno aperto le loro porte. Ho goduto del privilegio di conoscere e intervistare i personaggi della letteratura e dell’arte che in quel periodo facevano grande il paese di Dante e Leonardo, scrittori come Fellini, Pasolini, Sciascia, Italo Calvino; stilisti come Valentino, Armani, Missoni; grandi imprenditori come Agnelli o Pirelli; magnifici editori come Einaudi o Feltrinelli… e politici degni come Berlinguer o Moro, o giudici capaci come Falcone, con il quale parlai alcuni mesi prima che fosse assassinato. Durante il mio incontro con il giudice Falcone eravamo circondati da un sacco di polizia armata fino ai denti e di sirene: “E’ tutta scena. Quando la mafia decidera', mi uccideranno lo stesso” mi disse il magistrato partendo con un mezzo sorriso triste. Lo uccisero.

Quella era un’Italia che io amavo appassionatamente e nella cui lingua scrissi i miei primi libri.
Fino a che arrivo' Silvio Berlusconi. Lo vidi atterrare a Palermo, capoluogo della Sicilia, cuore della mafia, in elicottero, come un dio pagano. Era alla sua prima candidatura. In pochi credevano che quell’istrione, che mai aveva avuto a che fare con la politica, in un paese tanto politicizzato come l’Italia potesse vincere. Io scrissi sul mio quotidiano che sarebbe stato eletto. Vidi quel giorno a Palermo quasi mezzo milione di persone alzare le braccia verso l’elicottero che portava il Salvatore.

La mafia siciliana aveva cambiato bandiera. Abbandonava la potente Democrazia Cristiana, fino ad allora la sua signora, per offrire il bacio e il suo voto all’imprenditore di cui si diceva che avesse l’arte magica di creare posti di lavoro dal nulla. Da quel giorno l’Italia inizio' ad entrare nel tunnel della decadenza. Io me ne tornai in Spagna.

Ora vedo, come in un incubo, che gli italiani, che a me avevano dato il piacere della liberta' di informazione e di espressione, devono leggere El Pais per poter conoscere le spudoratezze compiute dal loro Cavaliere. Dov’e' quell’Italia che il mondo ammirava e amava?

L’Italia mi difese quando il governo del dittatore Franco voleva processarmi per aver pubblicato un articolo che riguardava il comportamento della Chiesa spagnola durante la dittatura militare. Mi convocarono a Madrid. Fui ricevuto dall’allora ministro Giron, a casa sua. Mi disse che un ministro aveva portato il mio articolo al Consiglio dei Ministri chiedendo la mia testa. Al termine del Consiglio, Franco si limito' a chiamare il ministro Giron e gli disse: “Lascia vivo questo ragazzo, altrimenti andiamo a farne un martire in Italia. Pero' chiamalo e raccontagli cosa e' successo”. Era un avviso chiaramente mafioso. Cosi' era allora in Spagna. Cosi' e' oggi, o quasi, in Italia.
Nelle mie notti insonni mi chiedo come sia potuta avvenire una tale metamorfosi. Come si sia arrivati a questa triste Italia di oggi. Posso solo farmi alcune domande partendo dalla mia lunga esperienza italiana.

Perche' Berlusconi vinse la prima volta, quando gia' circolava un libro che raccontava i suoi misfatti e le illegalita' commesse come impresario edile a Milano? Perche', quando erano al potere, i socialisti di Bettino Craxi, che fini' la sua vita in esilio ricercato per corruzione, permisero a Berlusconi di creare il suo impero televisivo contro tutte le norme della Costituzione? Che fecero, o cosa non fecero, i comunisti, eredi del severo e onorato Berlinguer, quando dopo piu' di 40 anni di lotte per avere il potere lo raggiunsero e lo gestirono cosi' male che gli italiani preferirono eleggere Berlusconi? In che cosa furono ingannati gli italiani? Perche' persero cosi' velocemente l’essenza di quel che era stato il maggior partito comunista d’Europa, che riuniva sotto le sue ali e proteggeva dalla mediocrita' della destra tutta l’intelligenza, l’arte e la cultura del paese?
Un partito, insisto, che aveva come leader un Berlinguer sempre timido e schivo, come doveva essere un figlio dell’austera Sardegna, pero' onesto, rispettato e tanto amato. Il giorno della sua morte si paralizzo' la citta' di Roma e due milioni di persone si riversarono per le strade come se la squadra nazionale di calcio avesse vinto il mondiale.

A quel tempo ero un critico severo dell’allora potente Democrazia Cristiana, che da 40 anni deteneva il potere e che fini' travolta dagli scandali per la sua corruzione. Oggi, a tanti anni di distanza, devo riconoscere che quello che vedo ora e' peggio. Ed e' davanti agli occhi di tutti. La Democrazia Cristiana, profondamente conservatrice, aveva, comunque, un profondo rispetto per la liberta' di espressione dei giornalisti. Conservo ancora alcuni biglietti, scritti con la calligrafia grande di Fanfani o quella minuta di Andreotti, entrambi piu' volte a capo del Governo. Ogni volta che pubblicavo un articolo critico rivolto all’uno o all’altro, arrivava al mio ufficio un motociclista che mi portava uno di questi biglietti, dove mi ringraziavano per quello che avevo scritto su di loro.

Quando la Spagna stava per entrare nell’Unione Europea, il ministro degli Affari Esteri italiano era Andreotti. Nella ambasciata italiana a Madrid, alcuni piu' realisti del re decisero di analizzare i miei articoli, concludendo che ero eccessivamente critico nei confronti dei politici italiani. Chiamarono l’ambasciatore spagnolo a Roma e, con evidente atteggiamento mafioso, gli ricordarono che l’assenso dell’Italia era fondamentale per l’entrata della Spagna nella Comunita' Europea e che i miei articoli non piacevano.

La notizia arrivo' alle orecchie di Andreotti, del tutto ignaro della vicenda. Quella mattina mi chiamo' per offrirmi un’intervista. Mi ricevette a braccia aperte. Non si parlo' della faccenda. Mi racconto' aneddoti inediti sul suo rapporto con papa Giovanni Paolo II. Mi disse che il Papa polacco a volte lo invitava a pranzo o a cena, e ad assistere con lui alla messa nella sua cappella privata. Prima di congedarmi mi autografo' un libro con queste parole: “Al mio caro collega giornalista Juan Arias, con amicizia”. Andreotti si vantava sempre di essere un giornalista professionista. E sulla porta mi disse. “La Spagna sara' molto importante nella Comunita' europea. Io votero' a favore”. Lo ha fatto.

Andreotti, cio' nonostante, soleva dire che i politici spagnoli mancavano di “finezza” (in italiano nel testo. NdR). Tristemente, questa “finezza” oggi manca a tanti politici italiani, a partire dal suo presidente e dalla sua corte faraonica, a cui l’informazione libera provoca orrore e panico.
Forse non e' vero che agli italiani piace tanto Berlusconi - per lo meno agli italiani che conosco io - e forse e' vero che non piacciono loro nemmeno gli altri politici. A questi altri io diedi il primo voto della mia vita. Come direbbe Saramago: Triste cosa.

Articolo originale: http://www.elpais.com/articulo/opinion/triste/Italia/elpepuopi/20090615elpepiopi_13/Tes

Fonte imm


Commenti

grandioso! tristemente grandioso spaccato di questo paradossale paese

grazie Arias

Francois Pesce

Eh si, davvero una triste cosa. Bello questo articolo che purtroppo descrive molto bene la deriva e lo squallore verso cui sta scivolando il nostro amato paese. Mi fa rabbia pensare che questo periodo storico sarà ricordato come quello di un presidente "ficomane" tutto preso da feste e minorenni e "escort" ammesse a corte. D'altronde c'era da aspettarselo; l'Italia si è scelta un Presidente che ha una visione gnocco centrica della vita e che dal primo giorno della sua discesa in campo non ha fatto che dividere il genere umano in due categorie; gnocca, cazzoni e veline da una parte e comunisti, magistrati e giornalisti dall'altra. Ahimè, che brutta fine che faremo. Chi volesse leggere il mio post "Berlusconi e le immagini di un paese che va a puttane",questo è il link.

http://ilcaffedellasera.blogspot.com