Ribellione spirituale

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Viviamo in un'allucinazione collettiva.
La gente non vive veramente

Il buonismo ci ha stufato, evviva la realta'!

Oltrepassata la soglia dei 50 mi capita sempre di piu' di riflettere sulle persone e sui rapporti umani.
Al di la' del razionale, poi, ci sono frasi che buttate li' da emeriti sconosciuti mi fanno venire la pelle d’oca.
“Io voglio bene a tutti” per esempio, “Io amo l’umanita'”. Beh… io no. Io non voglio bene a tutti, voglio bene a qualcuno, che conosco, che fa parte della mia vita. E ne fa parte per mille motivi: perche' ho condiviso con questa persona pezzetti importanti del mio cammino, perche' mi ha detto una frase che ci stava proprio rispetto a quello che stavo vivendo e per mille altri motivi. Queste persone sono dentro la mia vita. A vari livelli, mica tutti nello stesso modo. Nel tronco del mio esistere, che conta tanti cerchi, il primo e' composto di coloro che chiamo “schiridu'” perche' definirli amici e' riduttivo: gli schiridu' sono i pezzi di te senza i quali la tua vita non ha piu' senso e per cui daresti tutto, esistenza compresa, sono l’Amore, quello che crea i legami, sono i Piccoli Principi che mi hanno addomesticato, e se uno schiridu' uccide una persona io penso a come salvarlo, a dove fuggire. Non mi importa della vittima, non la conoscevo. Io, poi, son fortunata, ho molti schiridu', piu' della maggioranza delle persone. Ma per tanti che siano si contano sulle dita di una mano.
Poi il secondo cerchio e' composto dagli amici, e cosi' via.
Ogni cerchio aggrega: persone che stimo, a cui voglio bene, con cui esco volentieri e passo del tempo piacevolmente.
Gli altri? Non mi interessano, non so chi siano, non li frequento. Non e' detto che alcuni di loro, che occasionalmente posso incontrare, non entrino nel mio tronco ma non li cerco, non ne sento il bisogno. Non mi gratifica piu' essere amata da tutti. Specie se questo “amore” lo devo poi pagare in tempo prezioso, discorsi che mi annoiano o ricatti morali.
Non voglio bene al primo stronzo, se e' vivo o morto non mi fa alcuna differenza, non voglio bene al cane dei vicini che abbaia giorno e notte, se muore mi fa un favore. Poi non uccido, che son pacifista, ma se posso ogni tanto caccio un urlo cosi' mi sfogo.
Non sopporto quelli che hanno figli piccoli e li fanno diventare i padroni della loro vita, che sarebbero poi cavoli loro se non fosse che quando vengono a trovarmi pensano che il piccolo mostro debba anche essere padrone della mia.
Trovo di una noia mortale chiunque pensi che perche' sei una persona gentile ti puo' raccontare tutta la sua vita partendo dalla mamma incinta, o quelli che iniziano il discorso dicendo “Tu mi capisci…”. No, io non capisco un cazzo, mi devi spiegare bene e comunque non e' detto che mi interessino i tuoi problemi di coppia, a meno che non mi paghi per ascoltarli.
Detesto cordialmente chiunque non faccia domande chiare e precise: “Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi” e' una canzone di Battisti, nel quotidiano questi arzigogoli mentali mi danno l’orticaria.
Provo una sana antipatia per chiunque pensi che visto che mi occupo di ecologia e sono di sinistra ogni problema o tiramento di culo di un gruppo di squinternati debba essere di mio interesse: “Ma come!!! Non fai una campagna per la salvaguardia del panda gigante?!?!” No, ho altro a cui pensare e se te ne occupi tu perche' me ne devo occupare pure io? “Ma come? Ma non sei ecologista?” Si', ok, ma posso fregarmene altamente del panda gigante, sono in tutto sei al mondo e si spende piu' per farli scopare che per dar da mangiare ai senzatetto.
Nel 1999 tenemmo ad Alcatraz un festival della comicoterapia, tra gli ospiti anche i bambini di strada di Bucarest, al tempo 6.000, che vivevano nel Canal, una sorta di sotterraneo della citta', sniffando colla per non sentire i morsi della fame. Pochi giorni dopo la fine del festival mi telefonarono da un’associazione: “Noi ci occupiamo dei cani randagi di Bucarest… e' un problema enorme, sa? Queste povere bestie sono abbandonate a se stesse…, non puo' non interessarle questo problema!!!” Grrrrrr.
Oppure quelli che ti dicono: “Ti mando due righe sul mio progetto” e ti inviano 1.253 pagine scritte a corpo 2 dove ti spiegano per filo e per segno una cosa che non ha niente a che fare con la tua attivita' e il tuo impegno, e l’hai pure gia' detto, ma insistono dicendo: “Cosi' ti fai un’idea…” e dopo 20 minuti ti richiamano per sapere se hai letto tutto e sei disposta a partecipare a un evento che coinvolgera' 12 persone in un paese dell’avellinese che ci metti sei giorni per arrivarci e non e' previsto il rimborso spese e se lo chiedi si offendono pure, perche' per la causa questo ed altro.
Ma alla causa ci dedico l’intera giornata, e' il mio lavoro! Mica come te che lavori alla Nestle' e poi per pulirti la coscienza fai il volontario dei miei santissimi.
E non sopporto, in assoluto, quelli che accampano scuse per qualsiasi cosa. Specie in ambito lavorativo. Non ci sono scuse. Ma mai. Se devi fare un lavoro o rispettare un impegno, le scuse stanno semplicemente a zero. Se abbiamo un appuntamento e arrivi in ritardo senza avvisarmi non ci sono scuse, e anche se mi avvisi deve essere successo che a casa tua c’e' stata un’invasione di extraterrestri altrimenti, anche in quel caso, non ci sono scuse.
Ho lavorato per un periodo in una casa editrice a Bologna e traducevamo testi. Per trovare i traduttori facevamo dei test, mandavamo un brano inglese e ci tornava tradotto in italiano. Molti erano decisamente da buttare e un giorno in cui ero particolarmente in vena di fare la “buona maestra” decisi di chiamare due ragazze che avevano fatto delle traduzioni tremende per spiegare loro che cosi' no, in cosa avevano sbagliato. La prima mi rispose: “Sai ho solo 27 anni e non sono esperta, poi mi pare che alcuni paragrafi andassero bene…” e la seconda “Si', hai ragione ma sai… ho fatto la traduzione senza vocabolario”. Senza vocabolario?!?!?! Ma perche' senza vocabolario? Te l’aveva mangiato il gatto? E poi a 27 anni c’e' chi ha scalato le montagne… e c’era qualche paragrafo giusto? Ma si presuppone che un traduttore faccia tutto bene!
Da allora decisi che le spiegazioni per le traduzioni non accettate me le tenevo per me.

Un amico mi raccontava dell’infanzia in un paese dell’Africa. Mi diceva che i bimbi iniziano a occuparsi di pecore a 3 anni, e devono stare molto attenti a non perderle perche' producono il latte per tutti, fanno la differenza tra la vita e la morte di una famiglia.
Mi raccontava che quando si perdeva una pecora il bimbo non tornava a casa fino a che non l’avesse trovata, non importa che ora fosse, doveva riportare a casa tutte le pecore. Quando arrivava a casa la madre senza dire una parola contava le pecore e, se c’erano tutte, metteva davanti al bimbo il piatto con la cena. Semplice: il bimbo aveva fatto il suo lavoro e la madre aveva cucinato il cibo. Il rapporto e' chiaro, trasparente, privo di ogni pastoia emotiva.
Cosa succede se il bimbo perde la pecora e proprio non la ritrova? chiesi. La deve ricomprare, mi rispose, e andra' in giro per il villaggio a cercare mille lavoretti che fara' dopo avere accudito al gregge, per raggranellare i soldi per la pecora. E quando sara' riuscito a ricomprarla arrivera' a casa, la madre contera' le pecore e senza dire una parola mettera' davanti al bimbo il piatto con la cena,
E il bimbo non si aspetta parole di elogio dalla madre, perche' lui ha risolto il proprio problema, SUO di lui, non era di nessun altro e nessun altro poteva e doveva risolverglielo. Cosi' impara che i problemi hanno sempre una soluzione. E che lui e' in grado di risolvere i propri problemi.
Lo stesso amico mi raccontava che in questo paese cosi' povero un giorno arrivarono alcuni bianchi che facevano parte di un’organizzazione umanitaria. Chiesero ai bambini di partecipare a classi in cambio di cibo e altre cose. Quando i bimbi arrivavano al centro una signora dell’organizzazione faceva ampi sorrisi dicendo: “Ma che bello! Ma bravo!” e i bambini la guardavano molto perplessi: lo facevano per loro, per ricevere quanto promesso, e sembrava lo facessero per lei… questo li mandava in confusione… perche' questa donna li ringraziava per avere svolto il loro lavoro? Dare e avere, una regola chiara, perdeva di senso e cosi' creava una grande confusione.
La gratificazione… che parola assurda quando viene richiesta ad altri. La gratificazione ognuno la trova dentro se stesso, perche' in quel momento, per quella cosa, abbiamo fatto quello che dovevamo fare, quella che era la nostra responsabilita', e abbiamo risolto i problemi che ci si presentavano. A che eta' si smette di chiedere alla mamma: “Sono stato bravo?”
Vi posso assicurare che a quei bambini una frase del genere non passa neanche per l’anticamera del cervello: che va tutto bene lo capiscono da soli quando contando le pecore vedono che ci sono tutte.

Boh, ripeto, sara' l’eta' e la saggezza che ne consegue ma ormai ho capito da tempo che amare tutti significa semplicemente amare nessuno e i cuoricini e le dichiarazioni mielose mi mandano in travaso il serbatoio della retorica.

Questo non significa che vada in giro con il kalashnikov, sono una persona gentile e sorrido spesso, anche se devo ammettere che, prima del caffe' della mattina, non sono esattamente cordialissima.
Scusatemi, ma a me il buonismo fa venire la congiuntivite, e nel 2010 ci voglio vedere chiaro.
 

Gabriella C.