Gela Le Radici del Futuro
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A pasta ‘co capuliatu
Può capitare che all’improvviso vi arrivino ospiti a sorpresa e, allora, preparare una ricetta in poco tempo diventa un’occasione per stare piacevolmente insieme, magari preparando qualcosa di genuino e al contempo sfizioso.
Una ricetta alla quale si può ricorrere in queste occasioni, facendo sicuramente bella figura, è a pasta ‘co capuliatu.
E’ risaputo che i pomodori secchi rappresentino una miniera di sostanze benefiche per l’organismo come sali minerali, e soprattutto licopene.
E’ per questo che propongo oggi la ricetta tradizionale gelese “a pasta ‘co capuliato”, semplice, veloce e molto…salutare!
Ingredienti per 4 persone:
-400g spaghetti (preferibilmente trafilati al bronzo)
-150g di capuliato
-3 spicchi d’aglio
-prezzemolo tritato q.b.
-peperoncino q.b.
-parmigiano q.b.
-olio extra vergine d’oliva q.b.
-sale q.b.
Procedimento:
Soffriggere in un tegame gli spicchi di aglio con olio extra vergine d’oliva
Non appena gli spicchi d’aglio si saranno leggermente imbionditi, aggiungere il capuliato e farlo cuocere a fiamma moderata per pochi minuti
Sminuzzare il prezzemolo con lame taglienti, in modo da preservarne la fragranza.
Nel frattempo far cuocere gli spaghetti, utilizzando preferibilmente un tipo di pasta “ruvida”, in modo da ottenere una giusta emulsione tra pasta e capuliato.
A cottura quasi ultimata, scolare la pasta, prestando attenzione a conservare un po’ di acqua di cottura e aggiungerla al capuliato dopo aver tolto gli spicchi d’aglio.
Mantecare a fuoco basso per alcuni minuti, aggiungendo se necessario qualche cucchiaio di acqua di cottura.
Aggiungere prezzemolo tritato, peperoncino e parmigiano e servire.
Buon appetito!
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Andrea Camilleri e il “giorno dei morti”
“Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.
Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo all’alba per andare alla cerca. Perché i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciò il cesto non lo rimettevano dove l’avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa. Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portò dall’aldilà il mitico Meccano e per la felicità mi scoppiò qualche linea di febbre.
I dolci erano quelli rituali, detti “dei morti”: marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, “rami di meli” fatti di farina e miele, “mustazzola” di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetù, carcagnette. Non mancava mai il “pupo di zucchero” che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza. A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciliddri era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: «Che ti portarono quest’anno i morti?». Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestìa, che aveva la nostra età precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso l’anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo.
Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma un’affettuosa consuetudine. Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivò macari l’albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilità di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e “stampato”, come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si può indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E così diventiamo più poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte è meditazione sulla libertà, perché chi ha appreso a morire ha disimparato a servire”.
fonte articolo: da Racconti quotidiani di Andrea Camilleri
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Nasce Macchitella Lab, un polo aperto alla formazione e alla innovazione
Macchitella Lab è il risultato della rinascita e trasformazione dell’ex Casa Albergo dell’Eni a Gela, una struttura costruita all’inizio degli anni Sessanta nel cuore del quartiere di Macchitella per ospitare il personale dell’Eni.
L’edificio, completamente riqualificato e ristrutturato, firmato dagli architetti Vincenzo Castellana e Rosanna Zafarana, è stato ceduto da Eni in comodato d’uso al Comune di Gela per due anni, con possibilità di proroga. I lavori, dal valore di circa tre milioni di euro, sono stati interamente finanziati attraverso i fondi delle compensazioni industriali dovute per la città. Riqualificata anche l’area esterna.
Oggi Macchitella Lab diventa un polo aperto a formazione, imprenditorialità, innovazione giovanile e rigenerazione sociale, con ambienti di coworking, laboratori, spazi per start up.
Eni e il Comune di Gela sono affiancati nello sviluppo del progetto anche dall’Università Kore di Enna, da Sicindustria e dalla Fondazione Enrico Mattei.
“Questo iconico immobile, dopo un lungo percorso, a tratti anche complesso, diventa finalmente disponibile e fruibile per tutta la comunità”, ha affermato Walter Rizzi, in rappresentanza della Bioraffineria di Gela Enilive. “Macchitella Lab sarà un polo polifunzionale al servizio di tutta la cittadinanza. Segno tangibile dell’impegno di Eni verso il territorio, in particolare verso le nuove generazioni”.
Per il sindaco di Gela, Terenziano Di Stefano, Macchitella Lab “era un impegno della nostra amministrazione: da qui partiranno corsi universitari, incubatori d’impresa e attività per i giovani e incarnerà il simbolo di una città che non vuole arrendersi. Macchitella Lab sarà il punto di riferimento per chi vuole investire su sé stesso e sul proprio territorio, sviluppando idee e innovazioni per creare il proprio futuro”.
Foto: Archilovers.com
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A Gela una necropoli a cielo aperto!
A Gela, durante i lavori per la posa della fibra ottica, è venuta fuori una necropoli greca di età arcaica, perfettamente conservata, probabilmente risalente al VI-VII secolo avanti Cristo, contenente dieci tombe di bambini.
Per rendere fruibili i reperti è stata posta una lastra trasparente e calpestabile che permette di poter ammirare la necropoli dei bambini, in via Di Bartolo. Attraverso questa lastra calpestabile si possono osservare, anche di notte grazie ad un impianto di illuminazione, tombe di bambini intatte e oggetti della vita quotidiana di 2500 anni fa come ad esempio una trottola di ceramica.
Si tratta di un ritrovamento di straordinario valore come straordinaria anche è stata l’idea di farne un “museo a cielo aperto”.
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