Perché le donne hanno le tette? La teoria dell'evoluzione semi acquatica.

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In questa prima parte si demolisce la teoria uficiale sul perchè le donne hanno le tette.
Una serie di cazzate mostruose.
Nella seconda parte, che pubblicheremo prossimamente, si spiega il resto del concetto.
E si risponde a una serie di domande imbarazanti.
Perchè gli umani hanno perso il pelo? E perchè siamo diventati bipedi?
E perchè abbiamo il naso a sifone?
La teoria della Morgan (L'origine della donna)
spiega molti particolari della nostra anatomia ipotizzando un periodo di vita delle scimmie australopiteco sulla riva del mare, a mangiar molluschi rompendo le conchiglie con le pietre. E si sa che mangiare il pesce rende più intelligenti...

Pubblico qui di seguito un pezzo dal libro "La vera storia del mondo" che sarà rieditato prossimamente con notevoli ampliamenti.

Temi: video, teatro comico, storia, origini umanità, Jacopo Fo

Scimmie di mare

“L’origine della donna” della Morgan ci racconta come gli umani diventarono tali (è un libro ormai introvabile in libreria ma potete reperirlo in biblioteca).
Dodici milioni di anni fa le foreste dell’Africa centro occidentale, la regione dei Grandi Laghi, era la casa degli australopitechi, piccole scimmie arboree, che dovettero migrare a causa della ben nota ondata di caldo torrido che sconvolse il pianeta costringendoci a emigrare verso terre più fresche, abbandonando le foreste primordiali e attraversando, diretti a sud, territori arsi e spogli. E là fummo pasto per le belve con denti enormi che seguivano i nostri branchi usandoci come riserva di cibo. E fu proprio come sostiene la Morgan: le femmine gravide o con i piccoli in braccio erano le vittime più facili, impedite nella corsa. E come ancora oggi fanno le scimmie di piccole dimensioni (eravamo al di sotto del metro e venti centimetri) esse per sfuggire alle tigri dai denti a sciabola e agli enormi leoni si gettavano nell’acqua assumendo la posizione eretta e riuscendo così a toccare il fondo dei fiumi laddove le belve dovevano iniziare gia a nuotare.
Così quelle scimmie femmine indussero i maschi e il resto del branco a spostarsi lungo i fiumi, e rive dei laghi e del mare. E in effetti la scelta fu ottima anche per contrastare il caldo terribile.
Così vivemmo per milioni di anni sul bagnasciuga imparando a nutrirci non solo di vegetali e insetti ma anche di molluschi.
E questo provocò nei nostri antenati enormi mutazioni: in acqua la posizione eretta era più vantaggiosa, i peli superflui, ed era necessario produrre uno strato di grasso sottocutaneo per isolare il corpo dall’acqua. Il seno delle donne, unico per consistenza e conformazione tra i mammiferi terrestri, si sviluppò per isolare termicamente le ghiandole mammarie e fece il paio con lo svilupparsi delle labbra, carnose e a chiusura ermetica. Anche questa una particolarità che non esiste tra i mammiferi terrestri ed è invece comune a quelli acquatici in quanto permette ai piccoli di succhiare il latte in acqua. E così si sviluppò anche il naso a sifone che, qualità sconosciuta a cani, gatti, topi e cavalli, permette di immergersi verticalmente in acqua senza che questa entri nel corpo attraverso le narici.
Il fatto che i maschi passassero più tempo sulla terra ferma in cerca di cibo spiega perché essi siano tutt’ora più pelosi delle femmine. E l’istaurarsi dell’abitudine dei neonati di aggrapparsi ai capelli delle madri che galleggiavano intorno ad esse ci fa capire perché le donne abbiano capelli più folti e forti e perché raramente conoscano la calvizie.
La permanenza millenaria nell’acqua ci spiega anche perché i bambini possano ancora oggi essere partoriti in acqua e come mai a differenza dei neonati di coniglio, istrice e opossum sappiano nuotare senza problemi nell’istante stesso che vengono al mondo. La posizione idrodinamica dei nostri radi peli superflui, la lacrimazione degli occhi, sono altre caratteristiche umane che condividiamo con i mammiferi acquatici e semiacquatici (come i maiali, gli ippopotami e gli elefanti) e che sono assenti in tutti i mammiferi terrestri.
Altri residui di questo inizio di passaggio alla vita idrica sono il persistere del pelo sull’arcata sopraciliare e la presenza di una pellicina tra le dita nel 5% circa dei neonati (un’inizio di dita palmate).
Daltra parte questa fase di vita semiacquatica è l’unica possibilità per spiegare la nostra mutazione mentale.
Il dover assimilare comportamenti relativi a due diversi mondi sviluppò le nostre capacità intellettive. E questo sviluppo fu incrementato dalla necessità di imparare a aprire le conchiglie per divorare i molluschi, staccare i ricci di mare dalle rocce, spaccare le corazze dei granchi.
Il mare forniva un’immensa varietà di cibo facile da catturare e permise agli esseri umani di crescere di numero.
E solo se si imparava a affilare il bordo delle conchiglie trasformandole in lame era possibile pulire dalle squame i pesci e tagliare la loro carne in strisce sottili che diventavano digeribili e gustose se venivano lasciate per qualche ora nell acqua salata schiacciate sotto un grosso sasso. Ben presto i nostri antenati iniziarono a utilizzare piccole pozze naturali scavate dal mare sopra gli scogli per conservare i pesci catturati. Lasciarli al sole voleva dire vederli marcire in poche ore. Tenerli sotto i pietroni inoltre evitava che i gabbiani potessero rubarli. Aggiungendo altra acqua di mare, via via che essa evaporava dalle pozze, ottenevano una crescente concentrazione di sale e un più rapido “cuocersi”e non ci volle molto ad accorgersi che gettando alcune erbe profumate in queste pozzanghere si otteneva di conferire al pescato un sapore eccellente.
Ancora oggi nelle teerre del nord Europa (e anche altrove suppongo) il pesce schiacciato sotto i pietroni in vasche piene di acqua salata è una leccornia che evita le complicazioni della cottura sul fuoco rendendo la carne morbida come burro. Se andate in Svezia o in Danimarca chiedete di assaggiare il salmone “gravad” (“gravato”, schiacciato) e ve ne convincerete.
E se girate lungo le rive del mare, ad esempio in Puglia, potete ancor oggi trovare moltissimi sassi dalla forma molto particolare. Sono sassi bianchi bucati in modo curiosissimo dal lavorio delle onde.
Poco ci volle perché i nostri antenati imparassero a infilare bastoni in queste pietre con il buco costruendo così temibili martelli. E legando a queste pietre liane o intestini di animali conciati dall’acqua salata si potevano ottenere proiettili che potevano essere lanciati con potenza facendoli roteare (antenati della fionda di avide). E le conchiglie a torcilione erano perfette punte per le lance, e quelle piatte diventavano lame di coltello e quelle seghettate erano perfette per tagliare il legno e modellarlo.
Insomma il mare fornì un immenso patrimonio di strumenti belli pronti che i nostri paleontologi stentano a riconoscere durante i loro scavi semplicemente perché non c’è modo di sapere se un frammento di conchiglia risalente a 5 o a 10 milioni di anni fa sia stato usato come attrezzo.
Non posso citare nessun libro che sostenga questa idea ma, basta pensarci un po’ per persuadersi che sia andata proprio così.