Sergio Angese è morto e vi saluta tutti!

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Oggi è il primo anniversario della morte di Angese, vi racconto qualche cosa della sua vita.
E colgo l’occasione per citare la frase di una ragazza di grande saggezza: “La morte non deve essere poi così male. Non è tornato indietro nessuno.”

Sergio Angese
IL GUERRIERO DIVERTENTE
breve biografia autorizzata scritta da Jacopo Fo
(Che però si piglia tutte le responsabilità del caso visto che Sergio non ha mai potuto leggere questo testo perchè era occupato a fare altro.)

Premessa
Quando stava per morire Sergio mi ha chiesto di scrivere la sua storia.
Eccola. Non è una biografia paludata. E’ un racconto di quello che ho visto della sua vita. Credo che sia quello che lui voleva da me.
Ora la svilupperò, la metterò in bella scrittura e poi la pubblicheremo su carta, insieme a una scelta dei suoi disegni.

Capitolo primo
Riviste e socialisti

E’ passato un anno dalla morte di Sergio Angese.
L’ho conosciuto nel 1977, alla fine dell’anno, nella redazione del settimanale satirico “Il Male”.
Sergio era un giovane con i capelli corti e ben vestio. Portava la camicia e la giacca, aveva due figli piccoli, Alessio e Irene, una moglie, Paola, e un lavoro fisso come giornalista vignettaro a Paese Sera che era un quotidiano romano filocomunista (si mormorava che gli arrivasse perfino qualche soldo dall’Unione Sovietica. Ma non so se fosse vero).
La prima impressione che mi fece fu quella di un ragazzo con la faccia grassoccia che non c’entrava niente con noi che eravamo una banda di fumatori di canapa vestiti come capitava.
Ci misi un po’ a entrare in simpatia.
La mia stima verso di lui salì enormemente in due occasioni.
La prima fu quando disegnò una vignetta che trovo pazzesca.
Era appena scoppiato il caso del comune di Bologna che offriva case popolari anche ai conviventi gay. Lui disegnò un impiegato comunale, seduto di fronte a una scrivania, con davanti una coda di coppiette. L’unico non in coppia è un tipo che è il primo della fila e che dice: “A me un monolocale, io mi masturbo.” Geniale. Un totale rovesciamento quantico del punto di vista. L’equivalente di un tuffo carpiato triplo con capriola a rovescio, avvitamento e urlo finale.
La seconda occasione fu successiva a una rissa.
Al Male succedeva che un redattore decidesse di andare a sfondare la porta di Vincino, quando era lui il direttore, cercando di picchiarlo. Oppure che un giornalista arrivato per intervistarci ricevesse un pugno in faccia giusto sull’ingresso. Un caos aumentò via via che le droghe pesanti contaminavano una parte dei redattori. Io e Sergio facevamo parte dell’ala salutista. Fumavamo solo erba. E cercavamo in vari modi di mantenere in vita il giornale.
Io ero molto mingherlino e nei momenti di crisi andavo al lavoro con un martello da carpentiere sotto la giacca. Ma non lo usai mai perché il mio fisico rachitico era controbilanciato dal fatto che avevo militato nei gruppi vicini alle bande armate. In realtà avevo abbandonato Toni Negri prima che si iniziasse a sparare ma i miei colleghi erano comunque convinti che mi fossi macchiato di crimini violenti e mi rispettavano. A quei tempi tutti si dichiaravano innocenti e nessuno ci credeva.
Angese invece era grande e grosso e c’aveva i manoni. Quindi veniva rispettato per la possanza fisica.
Un giorno Piero Lo Sardo, quello che aveva cercato di picchiare Vincino e aveva tirato un pugno al giornalista, Sparagna e qualche altro debosciato, si misero d’accordo con il Partito Socialista di Craxi (cioè il Diavolo), intascarono 15 milioni di lire e realizzarono, senza dire niente a nessuno, un giornale per la campagna elettorale del PSI.
Quando lo sapemmo il giornale si incendiò. Io, Angese e Cinzia Leoni (la disegnatrice non l’attrice) volevamo buttarli fuori con l’accusa di alto tradimento della satira. Loro si difesero sostenendo che avevano sì collaborato con il nemico ma avevano realizzato un giornale talmente brutto che quando Craxi l’aveva visto aveva buttato via tutta la tiratura disgustato, quindi non avevano commesso tradimento ma avevano compiuto un’azione eroica di sabotaggio del nemico di classe. Cioè avevano un bel coraggio!
Alla fine passò una linea alla vaselina e non vennero espulsi. Ancora penso che sia stato il primo passo verso la morte del giornale. Comunque negli scontri feroci a un certo punto Angese diede un pugno a Vincenzo Sparagna. Il giorno dopo Sparagna si presentò in redazione mostrando la lastra della sua mandibola fratturata. Angese prende in mano la lastra, la guarda, la gira e dice: “Questa è una mandibola destra io il pugno te l’ho dato sulla sinistra.”
E io iniziai a stimare veramente Angese.
Ai tempi ero già diventato pacifista. Ma un conto è essere pacifisti, un conto è essere non violenti. La differenza è che il non violento non usa la violenza neanche se aggredito. Il pacifista cerca di evitare in ogni modo la violenza, ma se lo aggredisci, se può, ti maciulla. E vendersi ai socialisti era lo stesso che attaccarti alla gola con un coltello.

Mentre il giornale lentamente affondava io presi la strada di Santa Cristina, vicino a Perugia, lui diventò condirettore insieme a Vincino e cercarono di far risalire la rivista riuscendo a procrastinarne la sopravvivenza fino al 1982.
Io inviavo i miei disegni dall’Umbria e arrivavo a Roma una volta al mese.
Fu nel 1982 che iniziarono le lezioni alla Libera Università di Alcatraz, e tra i vari corsi c’era quello di fumetto. Sergio era tra gli insegnanti. Gli piacque molto il posto e il clima che si era creato e dopo qualche tempo decise di trasferirsi a Alcatraz prendendo in affitto da me una microscopica casetta di pietra, due stanze con un bagno, persa in mezzo ai boschi. Un posto da favola.
Così iniziammo a vivere a un chilometro di distanza. D’estate corteggiavamo le ragazze (e lui aveva più successo di me perché era più macio) d’inverno passavamo ore a discutere del mondo, della vita e di tutto il resto. Sergio collaborava allora a Satirycon, inserto satirico di Repubblica diretto da Forattini che ai tempi era uno di sinistra, e collaborava con l’Espresso. Insieme partecipavamo ai vari tentativi di Vincino di far rinascere il Male: L’Ottovolante, Il Clandestino, Zut…
Angese comunque se la passava bene, era un fumettaro di grido, pubblicava libri, realizzava illustrazioni strapagate per la pubblicità.
L’unico grande problema era che dovevamo alzarci prima del’alba e andare a consegnare la busta coi disegni al pulman che alle 5,45 passava a casa del Diavolo. Poi a Roma un redattore doveva andare alla fermata del pullman e farsi consegnare la busta e non sempre ci riusciva.
Poi Angese mi disse che c’era una roba chiamata fax, una diavoleria moderna appena arrivata sul mercato. Poi ne comprò una pagandola 7 milioni e mezzo di lire, una cifra spaventosa a quei tempi.
Tu infilavi il disegno nel fax e questo magicamente appariva in un altro fax anche a migliaia di chilometri di distanza. Grandioso! Niente più pullman.
Fu uno dei vari motivi per cui lo amai.

Capitolo secondo
Pugni e cavalli

Sergio Angese, che io chiamavo generalmente Angese piaceva alle donne in modo sensazionale.
Quello che a lui piaceva era la trama delle storie d’amore. Il modo in cui venivano fuori.
Era un mistico dell’intreccio della vita, della trama della storia.
Era un guerriero. Viveva in modo laico una certa mistica samurai. Non era però un militarista o un violento. Era una persona pacifica che però in alcuni frangenti reputava suo dovere morale usare le mani. Lo faceva in modo molto raro e molto scenografico. In effetti mi risulta che, al di là delle risse giovanili, lui abbia colpito qualcuno solo 3 volte.
La prima volta sull’altare dove stava sposandosi la sua prima moglie Paola. Si stava sposando con un altro. Lui arrivò, le disse che voleva sposarla, di venire via, il tipo che stava per sposarla si incazzò di brutto (comprensibile) e Angese gli tirò un pugno e si portò via la moglie, che poi sposò.
Era la classica situazione eroica romanzesca che piaceva a Sergio.
Il secondo pugno l’ho raccontato già, quello a Sparagna.
Il terzo pugno lo diede qualche anno dopo.
A Alcatraz c’era presa la passione per i cavalli. Avevamo aperto un maneggio che gestivamo insieme. Ma a un certo punto il lavoro divenne troppo gravoso e mi misi alla ricerca di un cavallaro che si occupasse delle passeggiate con gli ospiti. Un’impresa disperata perché i cavallari sono tutti pazzi. A un certo punto troviamo un tipo molto giovane che sembrava a posto. Inzia a lavorare. Con lui c’è la sua fidanzata, una tipa carina molto esile.
Passa qualche settimana, io non so dove stessi, telefonano a Alcatraz dalla questura. Risponde per caso Angese che non si occupava in nessun modo della gestione di Alcatraz.
Era successo che li avevano fermati perché lui aveva preso a pugni lei nel parcheggio di fronte alla questura. Li avevano fermati e gli avevano sequestrato la macchina perché non era in regola con nessuna legge dello stato. Era il ragazzo che telefonava chiedendo se qualcuno poteva andare a Perugia a prenderli. Ci va Angese. Arrivato in questura i poliziotti gli raccontano cosa è successo.
Lui li carica in macchina, il ragazzo davanti, la ragazza di dietro. Partono e Sergio inizia a spiegare al cavallaro che non si picchiano le donne e che non si picchiano davanti alla questura. Ogni chilometro gli dava un pugno senza togliere l’altra mano dal volante e senza smettere di guardare la strada. Un colpo allargando il braccio e colpendo con il dorso del pugno.
Nonostante i miei criteri pacifisti fossero diventati col tempo più rigidi non riuscii a dargli torto.
Angese aveva una mistica avventurosa della vita.
Era cresciuto nel ristorante di famiglia, a Roma, un’osteria piena di personaggi favolosi, attorniato da donne (come me). Il suo modo di essere macio non era basato sull’aggressività ma sulla capacità di inventare storie, situazioni che avevano sempre un retrogusto di sfida.
Era il tipo che andava a trattare un contratto con una grossa azienda milanese e nel bel mezzo della trattativa con la brillante manager rampante le mormorava qualche cosa di irripetibile e un secondo dopo le ordinava di appoggiare le mani alla parete e di farsi perquisire. E lei ubbidiva perché quello era proprio il pensiero che le era passato in quel momento in testa, o comunque una sua fantasia segreta.
Era un fantasista della seduzione.
Chiaro che quando io comprai 5 cavalli agricoli (cavallo montano da lavoro umbro bastardo) e insieme ci appassionammo alla cavalleria e alla doma, il quadrupede divenne per lui uno strumento di seduzione onirica formidabile.
A lui piaceva giocare in modo educativo sulle contraddizioni.
Era capace di andare dal direttore di un giornale per il quale lavorava e dirgli che avrebbe dovuto smettere di essere un opaco burocrate e assaporare il piacere animale di azzannare i potenti alla gola.
Con i direttori dei giornali questa schiettezza irridente non aveva molto successo. Infatti Angese pagò la sua onestà politica, il suo amore per la verità e la libertà di espressione e il piacere di prendere per il culo faccia a faccia direttori, condirettori e grandi firme, con l’ostracismo da tutti i giornali italiani. Lui fu il tipo che quando lavorava per la Nazione, al proprietario che gli proponeva l’idea per una vignetta, si era concesso il lusso di rispondere: “Questa idea è veramente priva di senso!” con un tono che gli costò l’allontanamento dal giornale per qualche anno.
Ma se Angese faceva inviperire i giornalisti potenti, incollati alle loro sedie di notizie addomesticate, otteneva un risultato diametralmente opposto con le donne.
E quando aveva un cavallo sotto il culo Sergio dava il massimo.
Intendiamoci, né io ne Sergio avevamo mai visto un cavallo. Imparare fu un vero disastro. Prendemmo calci e morsi e volammo per terra un numero incredibile di volte. Ma dopo sei mesi di massacro fisico e dita dei piedi fratturate dal pestone di un animale da 6 quintali, eravamo capaci di stare in sella. Avevamo uno stile un po’ gaucio, frutto di un mix di lezioni impartite da una mia fidanzata danese, un’insegnate lesbica tedesca che voleva castrare tutti (cavalli e non), un cavallaro sardo e un paio di umbri. Scuola internazionale.
Comunque stavamo in sella. Passavamo ogni giorno ore a lavorare coi cavalli, allenarli, pulirli, medicarli. C’era una simbiosi incredibile. Io facevo ridere i bambini delle gite scolastiche non riuscendo a salire sulla mia cavalla che era più larga che alta. Angese si era comprato un mezzo sangue bastardo che era molto bello, Astante, e gli aveva insegnato perfino la retromarcia, a impennare a comando, a muoversi come danzasse. Io andavo sempre al passo perché anche il trotto per me è troppo veloce. Questo non entusiasmava alcuni ospiti di Alcatraz che volevano provare il brivido selvaggio, allora li portavo giù dalle pietraie in mezzo ai rovi. Percorsi da scalatori che solo i nostri cavalli da lavoro erano capaci di compiere. Gli ospiti uscivano coperti di sangue (il loro sangue) e felici.
Angese prediligeva le escursioni di un giorno intero, con molti pezzi di salita fatti a piedi per non stancare la bestia, e i sentieri erbosi in piano al galoppo sfrenato.
Prendi una giornalista romana, una manager milanese, un’avvocatessa veneziana, falle provare a stare in sella un paio d’ore, falle sentire che è sopra un animale vivo, un vulcano genetico a quattro zampe e dopo proponile di andare a cavallo di notte, solo tu e lei. Tu e lei sopra un cavallo solo. Il cavallo è senza sella e siete nudi. E il cavallo cammina in salita così che le sue natiche premono contro le tue.
Le ragazze andavano giù di testa. Era il racconto che faceva Angese a rapirle, a dischiudere per loro le porte di un sogno impossibile nelle loro vite.
E questo quando i direttori dei giornali vedevano Angese, lo intuivano. Arrivava con meravigliosi impermeabili da cow boy australiano, lunghi a mezzo polpaccio, o con giacche di pelle di montone.
La barba di qualche giorno, la sigaretta di traverso. I direttori di giornali guardavano come le loro segretarie osservavano Angese, leggevano i suoi fumetti nei quali guardava il mondo da un altro punto di vista e capivano che non avrebbero avuto in tutta la vita storie sconvolgenti e appassionanti come quelle che Sergio era capace di inventarsi un giorno sì e uno no. E lo licenziavano.

Angese adorava la pittura, la scultura che era stato il suo primo mestiere, la musica classica (Mozart) e Zingarò.
Zingarò era arrivato a Roma con il suo circo equestre e i suoi suonatori indiani.
Uno spettacolo pazzesco nel quale riusciva a far galoppare un cavallo da fermo che è la cosa più difficile da insegnare a un cavallo. La scena che aveva colpito di più Angese era quella nella quale un inserviente costruisce un muro triangolare di bicchieri uno sopra l’altro, poi versa lo champagne in modo che coli da un bicchiere all’altro riempiendoli tutti.
Poi arriva Zigarò sopra un enorme bestione nero che salta sul muro di bicchieri distruggendoli e poi s’imbizzarrisce e salta la transenna arrivando addosso agli spettatori con le zampe davanti, Zingarò salta giù dal cavallo prende una donna del pubblico tra le braccia e la bacia appassionatamente.
Favoloso. Ho sempre pensato che Zingarò fosse l’alter ego astrale di Angese.
Quando anni dopo sono andato a Parigi ho scoperto che il suo agente era lo stesso di mio padre. Sono andato a vederlo nel suo suntuoso circo di legno ottagonale. Sorge vicino al set abbandonato di un film utilizzato come bar, centro amministrativo e altro. Si tratta di alcune case fintamente diroccate (non so quanto fintamente) che danno l’idea di un villaggio semi bombardato.
Entri nel circo di legno scuro, a cupola, passando per un corridoio pensile che dà sopra i box dei cavalli. Una stalla ingresso rettangolare, lunga almeno trenta metri, che immette nell’arena circondata dalle gradinate. In un angolo un’orchestra suona enormi strumenti musicali inventati che riproducono il suono della pioggia, del vento, delle onde del mare dei tuoni e della grandine. Dalla parte opposta i musici dell’oriente con sithar e flauti.
Josè Guinot, l’agente di mio padre, è un intellettuale brillante, comunista e magrissimo quanto alto che restò scioccato dall’incontro con Zingarò ma incredibilmente gli diede fiducia.
Zingarò non parlava francese, girava con un interprete che traduceva i suoni gutturale di un dialetto delle steppe orientali. Il primo spettacolo si tenne in una piazza. A sipario chiuso si sentì un frastuono, poi Zingarò saltò letteralmente fuori dal sipario in sella al suo stallone nero, con un orrendo topo di fogna vivo, tra i denti. Sporgendosi da cavallo afferrò una giovane donna, se la caricò di traverso sulla sella, girò il cavallo, e si ributtò oltre il sipario. Si udirono le urla della ragazza e da sopra il sipario volavarono fuori gli abiti di lei.
Insomma un rapimento della steppa portato in una sonnecchiosa piazza francese allo scopo di sconvolgere le pulsioni più segrete di persone capaci di buttare la propria vita nella banalità quotidiana di un lavoro asfissiante e monotono e di una vita privata dove i demoni della regolamentazione danno la caccia alle idee fantastiche.
Ma José Guinot mi confidò che dopo qualche tempo aveva scoperto che Zingarò non spiccica una sola parola dei dialetti kagiki. E’ nato nella periferia di Parigi.
Zingarò spiega molto di Angese. Entrambi avevano la passione per lo stupore ed erano disposti a diventare contrabbandieri emotivi pur di raggiungere lo scopo. Che per Sergio non era né quello di fare sesso né quello di litigare con i direttori e i proprietari dei giornali. Angese seguiva la fede del gioco, della satira. Cercava quello che dava fastidio, che non si voleva vedere e lo raccontava nei suoi grandissimi fumetti. Rovesciava i giochi. Trasformava Craxi e Martelli in una coppia di Stanlio e Olio. Ed era capace di creare un’epopea come quella del Grande Dito, un’opera filosofica disegnata della quale pochi si sono accorti.
Dopo qualche anno passato a Alcatraz Sergio un giorno arrivò con una ragazza bellissima, brasiliana, Ceres Ramos che dopo anni di convivenza sposerà. Un grande amore. E anche qui una storia piena di colpi di scena. Tra i quali il fatto che un bel giorno Ceres diventa imprenditrice e crea una linea di vestiti fantastici, Da Legare, e diventa imprenditrice di moda. E Sergio si scopre abile a trattare l’apertura di un negozio all’Ipercoop, litigare con i fornitori, organizzare la comunicazione.
Dopo qualche anno Sergio si comprò una casetta minuscola, di una sola stanza con soppalco, vicino a Alcatraz. Dopo qualche tempo la rivendette e ne comprò una abbastanza grande, diroccata, che restaurò con amore riempiendola di dettagli ricercati e curiosi, decorazioni realizzate da lui tagliando piastrelle colorate, finestrelle fatte solo per mostrare un pezzetto di panorama. E scoprì così di avere la passione dei restauri. Continuò a vivere nella casa di Carpiano, a 4 chilometri da Alcatraz ma comprò una terza casa e la rivendette restaurata, poi un’altra ancora a Massa Martana, dove abitò negli ultimi mesi di vita.
Aveva intenzione di comprare un’altra casa al mare e di restaurare un barcone. Vivere sei mesi all’anno sull’acqua e sei sulla terra ferma.

Capitolo terzo.
Il Grande Dito

Quando Angese aveva una ventina d’anni andò a giocare al casinò: amava il poker ma non era un giocatore d’azzardo. Andò al casinò con 100 mila lire, e tornò a casa con 43 milioni. Si comprò una macchina sportiva e campò per un anno da gran signore. Regalò anche una 500 Fiat a suo cugino che l’aveva accompagnato nella scorreria. Poi non giocò più. Diceva che sono cose che si possono fare una volta sola nella vita.
Una logica eroica. Mistica oserei dire anche se Sergio non aveva niente di mistico e prendeva sempre in giro quelli fissati con le filosofie orientali e i guru. Era roba che non gli interessava.Guardava con ironia anche me e Andrea Pazienza che ci eravamo fatti prendere dal kendo di Mario Bottoni, grande maestro milanese che d’estate teneva corsi a Alcatraz.
La sua mistica era più strutturale, narrativa.
Cercò di esprimerla comicamente nel Grande Dito.
Il Grande Dito in raltà era Nero. Nero era il cane di Alcatraz. Un animale umanamente superiore.
Era un bastardo multiplo molto grosso. Una specie di pastore tedesco con dentro qualche linea di Labrador, e la taglia di un pastore maremmano. Era nero con una macchia bianca sulla frote e un’altra più grande sul petto. E anche lui adorava i cavalli. E ti guardava con aria intelligente e un po’ melanconica.
Era arrivato per i fatti suoi a Alcatraz e siccome faceva paura l’avevamo caricato in macchina e portato a 20 chilometri. Dopo 4 giorni ce lo ritroviamo davanti, sporco e puzzolente da panico.
Ma a quel punto il nostro codice d’onore ci impedì di ricacciarlo. Se proprio aveva deciso che voleva abitare con noi come potevamo dirgli di no?
Nero era un genio dell’ospitalità. Quando Alcatraz era aperta andava a ricevere gli ospiti e li scortava alla reception. Quando Alcatraz era chiusa non faceva scendere nessuno dall’auto. Abbaiava fino a che qualcuno diceva: “OK, Nero, smettila.”
Una volta il camionista che aveva riempito i bomboloni del gas stava venendo a casa mia per farmi firmare la ricevuta. Nero gli va incontro abbaiando. Lui astutamente gli da un calcio in faccia. Io nel frattempo ero uscito per fermare il cane, urlando perché temevo se lo mangiasse. Nel tempo di fare venti metri per prenderlo per il collare aveva sbranato i vestiti del camionista. Non gli aveva fatto un solo graffio ma lo aveva lasciato in mutande.
Non è facile per un cane controllare i propri denti con tanta precisione. Ma lui sapeva che se gli avesse fatto un solo graffio sarebbe stato abbattuto. Non potevamo tollerare cani mordaci. D’altra parte non poteva non reagire a un calcio in faccia. Io dovetti ripagare il guardaroba al camionista, ma dovetti convenire con Nero che aveva ragione lui.
Ma la dote più strabiliante di Nero era il suo stile nell’accompagnare le escursioni a cavallo e il modo in cui ci aiutava, spontaneamente, a radunare i cavalli dispersi sui pascoli. Probabilmente era stato il cane di qualche pastore. Comunque Angese aveva passato ore con Astante (il suo cavallo) e con Nero che gli trotterellava davanti annusandogli la strada, e si era convinto che quel cane nascondesse una saggezza misteriosa nobilitata da una particolare eleganza dinoccolata. Quindi lo aveva trasformato, trasfigurandolo, in una specie di Maestro mitico che guardava il mondo con occhi comici facendo capriole che gli permettevano di vedere il mondo da un punto di vista impossibile.
Il Grande Dito, che aveva proprio la forma di un grande dito indice indicatore, girava per i disegni di Angese e si soffermava a riflettere sul valore delle singole vocali pronunciate. Raccontarlo a parole è impossibile, tocca leggerlo, guardarlo. E’ pieno di donne seducenti.
Il Grande Dito usciva su Linus, la rivista della Rizzoli, ai tempi della direzione di Fulvia Serra, donna molto amabile che tollerava le interperanze di Sergio come una mamma. Quando lui arrivava nella redazione milanese credo che fosse un’esperienza traumatica per tutti. Diceva cose che non si dovrebbero mai dire a una redattrice di un giornale blandamente di sinistra. Soprattutto se lavora in una redazione dove sono tutte donne e tutte femministe.
Ad esempio non bisogna dire davanti a tutta la redazione che la direttrice è sotto ricatto perché possiedi una sua foto in costume da bagno.
Comunque Fulvia fu molto buona con noi. Mi lasciava scrivere degli articoli che poi doveva pagare col sangue (mai parlare male di Agnelli alla Rizzoli) e ci concesse perfino di realizzare un giornalino Awaj. Il titolo era formato dalle iniziali di Angese, Vincino, Andrea Pazienza e Jacopo.
Il formato era piccolo, orizzontale, come i fumettini degli anni 60. A colori. Sergio era riuscito a convincere un suo amico fraterno a scambiare viaggi all’estero sontuosi in cambio di un fumetto che dopo la pubblicazione su Avaj, poteva essere usata per la pubblicità di un’agenzia turistica. Ogni disegnatore a turno si faceva una settimana gratis da qualche parte e poi tornava con due puntate di fumetti nei quali raccontava il suo viaggio. Linus non pagava molto, meno di duecento mila lire a tavola, ma i soldi che ci dava per ogni pagina, con l’aggiunta del viaggio diventavano un bel prendere.
Ma al quarto numero Vincino ha la buona idea di raccontare la storia di quando Gianni Agnelli parte in pompa magna per la Russia con duecentomila alpini. Alle armi! Alle armi. Dopo una settimana Agnelli ritorna in aereo. I duecentomila alpini invece restano là. Per sempre.
La direzione di Linus ci fa sapere che questa storia non poteva uscire. Alla fine esce ma senza parole. Ardua mediazione. Così nasce su Avaj il primo fumetto italiano con i ballon del testo vuoti.
E’ l’ultimo lavoro che riusciamo a fare con la Grande Editoria. Avaj chiuderà poco dopo e da allora Sergio si trova fuori dal mondo ufficiale dei fumetti. E’ un rompicoglioni, uno che se non lo paghi va dall’avvocato e vince la causa, uno che non porta rispetto per nessuno e se gli censuri una vignetta ti manda al Diavolo.
Inizia per Sergio un periodo durissimo con pochi colpi di fortuna che lo tengono a galla ma lo costringono a una vita molto spartana. Ma lui resiste sulla sua strada.

Capitolo quarto
L’Eco della Carogna
Angese era un autore completo. Dopo il Male, con Enzo Sferra, amico e sodale nel settimanale, si mette a realizzare brevi cartoni animati di satira per la Rai. Poi ha grande successo su Repubblica, quindi su Tango, supplemento a fumetti dell’Unità. E’ lui a convincere Staino a farmi scrivere articoli al veleno. Poi continua il successo su Cuore, versione di Tango più digeribile per la direzione del Partito Comunista e diretta non più dall’inflessibile Staino ma dal più morbido Michele Serra (che non credo sia parente di Fulvia Serra direttrice di Linus). Dopo la chiusura di Avaj io mi metto a recitare. Sergio cerca con caparbietà un editore che editi un altro giornale di satira. Ma è dura. I tempi sono cambiati.
Non bisogna disturbare il manovratore. Nel 1995 finalmente Sergio Conosce Zanda, patron della Hobby & Work, casa edistrice d’assalto specializzata in edizioni a dispense. Conduciamo insieme la trattativa e alla fine ci accordiamo per l’uscita de “L’Eco della Carogna” mensile di giornalismo disegnato.
Parte l’avventura, Sergio è il direttore, manager, grande capo. Affitta una casa in valle, ci piazza i tavoli e la cucina, chiama un po’ di ragazzi a vivere lì nei paraggi. Abbiamo una buona squadra e la cucina organizzata da Angese con una signora del luogo, è ottima.
Il primo numero esce con un buon lancio ma la risposta delle edicole è bassissima. La situazione si capovolge quando pochi giorni dopo l’uscita Sergio presenta un esposto alla magistratura sul fatto che aveva le analisi della polvere prodotta dal Gratta e Vinci. Per dare lucentezza alla crosta da grattare c’avevano messo una sostanza cancerogena. La documentazione è ineccepibile e il giudice dispone il ritiro del Gratta e Vinci sul territorio nazionale. Mentre lo stato è costretto a cambiare in tutta fretta la composizione della polverina del Gratta & Vinci (milioni di vite umane salvate!). E Sergio è intervistato da giornali e telegiornali. L’Eco della Carogna va esaurito in tutta Italia. Inspiegabilmente l’editore non lo ristampa e anzi ritarda di 20 giorni l’uscita del secondo numero. Un suicidio dal punto di vista del marketing che porterà alla chiusura della rivista al quarto numero.
Da lì in poi per Angese lavorare diventa veramente impossibile. Riesce a pubblicare un paio di libri, a prendere qualche lavoro saltuario ma non si arrende. Alla fine viene ripreso alla Nazione con un compenso a tavola di una cinquantina di euro. Ma almeno lavora tutti i giorni. Intanto è scoppiata internet e lui inizia a pubblicare le sue vignette su Cacao e poi sul suo sito, prima Pesce Fresco News, poi Angese.it.
Gira qualche editore che vorrebbe lanciare un giornale nuovo, rivoluzionario. Ma poi scompare.
Angese prova la via della pubblicità. Riesce a piazzare una campagna per la concessionaria Fiat di Perugia, si inventa un personaggio di rivenditore mitico, il signor Safi che è il protagonista di avventure surreali e automobilistiche, con tanto di sagoma disegnata e ritagliata, a grandezza d’uomo, che sorride all’ingresso del salone. Un successo. La gente si diverte.
Ne nascono spazi sui giornali e avventure radiofoniche.
Inizia una nuova primavera, il suo blog va bene e c’è di nuovo occasione di lavorare. La rivoluzione energetica è alle porte e insieme ci mettiamo a progettare Ecotecno di cui esce un meraviglioso numero uno, supplemento di Modus Vivendi dei Verdi, in gran parte illustrato da Sergio con grandi immagini a doppia pagina. L’idea è quella di realizzare un giornale tecnologico illustrato come un giornale per bambini.
Poi succede quel che succede. Ma è certo che se non fosse morto sarebbe riuscito a riaffermarsi sulla scena. Semplicemente perché non era capace di fermarsi e perché era un grande narratore e un grande disegnatore.

APPENDICE
Ecco i due articoli che ho scritto durante la malattia di Sergio e dopo la sua morte.

E' possibile morire in modo dolce
Carissime, carissimi,
in questi giorni sono stato vicino a un caro amico che sta affrontando una grave malattia: Sergio Angeletti, in arte Angese. Questo articolo è stato scritto in un momento in cui non pensavamo che potesse sopravvivere. Ora Sergio sta meglo.
Ve ne parlo non per rattristarvi ma per raccontarvi che e' possibile affrontare la morte in modo diverso, e' possibile morire dolcemente.
Ve lo dico perche' credo che tutti abbiamo una paura fottuta del momento nel quale capisci che la tua vita sta per finire. E credo sia di conforto sapere che e' possibile affrontare questo momento serenamente.
Non che Sergio non avesse paura o non fosse dispiaciuto (se la tua morte non ti crea scompiglio sei un lobotomizzato emotivo oppure sei stupido). Ma e' riuscito a trovare un atteggiamento positivo anche di fronte a un evento cosi' sconvolgente.
La settimana scorsa ho scritto che era stato ricoverato per una "cazzata". Una peritonite agli intestini. Complicazioni seguite a una precedente operazione, invece ieri sono arrivate le analisi istologiche che insieme ai risultati della Tac hanno dato informazioni che non lasciano speranze. Ieri sera e' stato operato di nuovo d'urgenza anche se c'era poco da fare.
Ci siamo trovati intorno a lui che era ancora perfettamente lucido, desiderava avere intorno gli amici, almeno quelli che per ragioni geografiche potevano accorrere rapidamente.
Abbiamo parlato per ore con Paola, Irish, Rita, Angela ed Eleonora. Un po' scherzando, Sergio sparava battute esilaranti, un po' parlando del fatto che stava per morire. Era convinto di non risvegliarsi dall'anestesia. Ci ha dato istruzioni sulla sua sepoltura. E per la festa da fare al posto del funerale con i lamenti. Vuole essere cremato e seppellito ad Alcatraz sulla strada per la Torre, dove ci sono le pietre dipinte. Ha detto: "Seppellite li' i miei resti... Nel cimitero indiano." Vuole che ci mettiamo una pietra con sopra un cavallo dipinto, con il muso verso il ristorante, come se stesse tornando a casa dalla Torre. Poi ha voluto firmare la disposizione per essere cremato e una dichiarazione che richiedeva ai medici di evitare ogni accanimento terapeutico. E poi abbiamo parlato di cosa pensiamo succeda quando la vita finisce. Nessuno di noi e' credente ma non riusciamo neanche a immaginare che non continui a esistere nulla di nulla dei pensieri e dei ricordi. Non abbiamo le idee chiare, e in fondo non e' richiesto capirci qualche cosa di fronte al mistero della morte. Ma il semplice materialismo bruto (muori e basta) non ci sembra credibile. Forse non continua a esistere proprio la tua entita' cosciente ma solo qualche cosa di piu' labile... Ma proprio tutto tutto non puo' sparire. Quanto meno resta l'eco della tua vita. Come quando una boccia colpisce un'altra boccia mettendola in moto. Beh, non siamo arrivati a grandi conclusioni.
Comunque ci pareva surreale vederci li', intorno al suo letto a discutere della vita dopo la morte non in astratto ma come cosa imminente.
L'unica conclusione sicura a cui siamo giunti e' che una volta che Sergio sara' sepolto sotto la pietra con il cavallo dipinto, se qualcuno vorra' sapere come la pensa potra' andare li' e provare a parlargli.
Non ha garantito che rispondera' a tutti ma ci ha promesso che passando di li' sentiremo la sua amorevole presenza. Sono 30 anni che con Angese dividiamo le esperienze fondamentali della vita e so che se dice una cosa poi la fa. Se non esistesse niente dopo la vita, ma proprio niente, il nulla pressofuso degli atei duri, in ogni caso questa sarebbe solo una regola generale. E sicuramente Angese costituirebbe l'eccezione.
Il fatto che l'universo abbia sue leggi e' un suo problema non un nostro problema.
Si', perche' quando ti trovi a vedere una persona che affronta la morte, capendone la drammaticita' e la tristezza, capisci anche che sta compiendo un gesto che trascende i limiti della condizione umana. In fondo Dio, se anche dovesse esistere, non ha grandi meriti: e' Dio, per lui e' l'unica condizione possibile. Non fa nessuna fatica. Invece l'essere umano, per riuscire a affrontare con relativa serenita' la fine della vita deve compiere un atto straordinario che camminare sull'acqua a confronto e' una sciocchezza.
Sergio Angese e' riuscito a dire a se stesso: ho vissuto alla grande, ho avuto una vita intensa, ho fatto esperienze grandiose, adesso e' finita, vaffanculo, mi va bene cosi'.
Grande Angese, lo abbiamo ringraziato tutti, dicendogli che ci stava facendo un regalo mostrandoci come si possa morire in modo degno, concludendo la vita con eleganza, riuscendo a stemperare l'angoscia.
L'ultima immagine di Sergio, che porto con me, per l'eternita': lui che viene sospinto via in barella per questi corridoi infiniti di questo ospedale fabbrica. Incredibilmente rimpicciolito - lui, che e' sempre stato possente - con la testolina sprofondata tra le lenzuola, guarda il muro del corridoio che scorre con un sorriso, sembra un sorriso incantato, che avresti guardando un capolavoro, un tramonto o tuo figlio che gioca.
Mi piace pensare che guardasse la vita, che persiste anche in uno squallido corridoio d'ospedale, con lo stupore che merita.
E auguro a tutti voi che mi leggete di saper affrontare la morte come Sergio.
E vi auguro anche di avere una vita intensa e di gustarla il piu' possibile. Secondo per secondo. E' l'unico valore che ti ritrovi quando finisce.
E vi auguro di amare molto molti amici. Avrete piu' occasioni per soffrire ma credo che sia bello avere intorno persone che ti amano quando la vita fisiologica termina. Soffrire per amore e' un prezzo accettabile da pagare per il lusso di amare e essere amati.
Credo che si possa accettare la fine solo se hai assaporato quello che hai vissuto e lo hai condiviso.
Aggiungo due riflessioni.
Se e' vero che la vita e' una sola e' anche vero che la morte e' una sola. 
Credo che morendo si compia un'azione attiva che ha uno scopo anche se non saprei dire quale.
Probabilmente scoprirlo e' lo scopo della vita. Non e' un gioco di parole.
Questo e' un pensiero bifronte.
Da una parte sostengo che la morte potrebbe essere un fenomeno attivo che libera nell'universo l'energia mentale accumulata in una vita. E ipotizzo che lo scopo della vita e' alimentare e far crescere l'universo, migliorandolo attraverso l'apporto di miliardi di cariche energetiche liberate dai decessi. La qualita' dei decessi determina la potenza del miglioramento cui danno vita. Morendo bene diamo maggiori possibilita' di essere felici a chi vivra' dopo di noi.
D'altra parte la vita forse non ha uno scopo reale e quanto ho detto e' privo di costrutto. Ma in quanto io lo affermo, questo pensiero esiste e se riesco a morire restandone convinto ho creato uno scopo nella vita.
D'altronde per provare questa affermazione posso solo esistere assaporando la vita, e cio' da una parte mi dara' piacere, dall'altra mi permettera' di provare a me stesso che la vita ha un senso positivo e vale la pena migliorarla in quanto gia' cosi' mi permette di soddisfare la prima condizione essenziale: stabilire che la vita ha valore e quindi senso.
Forse la vita e' priva di senso ma noi possiamo compiere il miracolo di vivere talmente intensamente da poter dire, alla fine, eccone il senso, l'ho inventato io, l'ho costruito io e ora nessuno puo' mettere in dubbio che esista veramente.
Trovare il proprio senso della vita e' un atto che travalica i semplici limiti che essa stessa ci impone.
E probabilmente io sono sotto shock, senno' non avrei il coraggio di fare questi discorsi.
La nostra cultura rimuove la morte e poi la impaccheta in mille telefilm e telegiornali.
Non vogliamo parlare della morte ma non riusciamo a non pensarci. Non la affrontiamo come compimento del nostro lavoro di vivere e poi siamo disposti a pagare per vedere piu' morti di quelli che ci passa gratuitamente la tv. Cosi' ci abboniamo a Sky o andiamo al cinema.
Quanto sarebbe educativo invece discutere della propria morte anche a scuola e fare gite scolastiche in ospedale?
La morte e' una grande maestra. E' lei che ci insegna che la vita ha un immenso valore. La vita in se', non i grandi successi. La vita: guardare, camminare, annusare, toccare, correre, baciare, giocare, godere, mangiare, accarezzare e dire stupidaggini.
Mi sono sempre chiesto come mi trovero' io, come mi sentiro' quando capiro' che devo morire.
Ovviamente sommo privilegio sarebbe morire nel sonno. Ma se non mi e' dato...
Stare vicino ad Angese in queste ore mi ha insegnato un grande trucco.
Io sono il mio stato mentale di adesso. Ed e' ovvio che non possa pensare di dover affrontare la morte.
Ma quando ti trovi li', e sai che morirai presto, avviene una metamorfosi istantanea nella tua mente. Lo shock agisce in qualche modo come una droga miracolosa e, se riesci a guardare in faccia la situazione, entri in uno stato irreale dove puoi persino dare un senso alla morte. Beh, magari un senso no... Ma riesci almeno ad accettarla, a farla in qualche modo tua.
Lo stesso mi e' successo mentre andavo in ospedale la prima volta. Avevo paura di come avrei trovato Sergio dopo il primo intervento. Poi quando sei li' lo shock ti aiuta e ti trovi ad essere la persona che puo' affrontare quella prova. Pensare prima alle cose brutte non serve. Quando dovremo affrontarle, affiorera' dalla nostra mente piu' profonda un'identita' sconosciuta, un altro me stesso capace di affrontare quello stato perche' e' nato apposta per farlo. Averlo capito mi ha dato una grande tranquillita'.
Io non devo morire. Io sono quello che deve vivere perche' ora sto vivendo. Quando dovro' morire sara' un altro a doverlo fare. Uno specialista della propria morte.
2
Si muore una sola volta, abbiamo il diritto di farlo bene.
Se anche tu hai intenzione di morire (prima o poi), leggi qui.
Ospedali disumani e accanimento terapeutico.
Nell'altro articolo di oggi vi ho parlato di Sergio e di come ha affrontato la consapevolezza della sua morte imminente.
L'unico grande problema che ora ha lui e noi che gli vogliamo bene e' che non e' ancora morto. Il rischio terribile e' che finisca invischiato in un episodio di accanimento terapeutico.
A che serve soffrire ancora quando non ci sono piu' speranze?
Ognuno avrebbe il diritto di accomiatarsi dai suoi cari, ricevere qualche droga piacevole e poi un'anestesia totale, prima di ricevere una sostanza che ti termini senza dolore.
Ma come ben sapete, in Italia l'eutanasia e' vietata.
E si tratta di un doppio crimine contro l'umanita'.
Infatti oltre a provocare il dolore del malato e dei suoi cari, negare l'eutanasia significa rendere molto piu' difficile per un essere umano andarsene con una relativa serenita'.
Accettare l'idea della morte, accomiatarsi con un bel ricordo dalla vita, richiede una forza d'animo enorme.
Negare l'eutanasia significa portare l'essere umano oltre la sua capacita' di sopportazione e metterlo davanti alla fine della vita in condizioni psicofisiche disastrose, quindi rende difficilissimo avere una buona morte.
E questo e' un crimine orribile. 
L'incivilta' di questo paese si tocca anche qui.
E fa il paio con il modo nel quale sono organizzati molti ospedali.
Non tutti per fortuna.
Ma, ahime', sono molti i reparti che funzionano malissimo, perche' sono gestiti da primari insensibili o incapaci.
Credo che a tutti sia capitato di vedere la lentezza e la burocrazia, le attese e la disorganizzazione di molti ospedali. Le piccole incivilta' di infermieri e medici che urlano e sbattono le porte.
Gabriella, mentre assisteva suo padre morente, protesto' con un infermiere per il vociare del personale.
E lui rispose: "Ma siamo in ospedale, si sa che qui non si riesce a riposare!" 
Poi c'e' la piccola disumanita' di lasciare i pazienti da soli, nella sala pre operatoria. Quando operarono mia figlia di appendicite l'accompagnai alla sala operatoria mentre lei era in barella. E non volevano che entrassi con lei a farle compagnia fino a che l'anestesia avesse fatto effetto. L'infermiere si avvicina e mi dice: "Lei non puo' stare qui!" Potevo lasciare una bambina di 12 anni da sola, terrorizzata, ad aspettare l'anestesista?
Ero in una delle poche situazioni che mi rendono violento.
Dissi all'infermiere di chiamare la polizia e di avvisare che dovevano venire in tanti perche' avevo intenzione di fare molta resistenza. Ovviamente mi lasciarono con la mia bambina fino all'anestesia e nessuno provo' piu' a rompere i coglioni con le stronzate burocratiche.
E' assurdo che la battaglia per ottenere un'assistenza sanitaria piu' efficiente e pietosa trovi cosi' poco interesse nel Movimento per un mondo migliore. E' uno dei punti chiave che tiene le grandi masse lontane dal Movimento. Il Movimento ha delle priorita' politichesi e le grandi masse non sono stupide e scappano.
Priorita' sbagliate.
Anche perche' nessuno di noi e' immortale e rischiamo nella nostra vita di dover fare i conti con l'assistenza sanitaria e l'accanimento terapeutico. Lottate adesso, farlo in punto di morte e' un casino.
3
Perche' oggi non pubblichiamo la terza puntata del romanzo.
Ieri e' stata una giornata intensa. Con Sergio all'ospedale, l'intervento d'urgenza eccetera. Torniamo a casa di notte e c'e' una bufera di neve. Riesco ad andare a dormire alle 3. E mentre dormo un ladro forza la porta di casa mia e mi ruba il computer, un meraviglioso Mac portatile color argento, con la terza puntata del romanzo. Avevo fatto una copia sulla pennina che avevo messo sulla libreria dentro la borsa del portatile. Hanno rubato anche quella. E oggi non ho proprio avuto la forza di riscriverla.
Ringrazio il ladro per non avermi sgozzato nel sonno.
E vi prego di pazientare fino alla prossima domenica.
Jacopo
PS: Se trovate in giro un Mac portatile, color argento 17 pollici, con un'ammaccatura sulla sinistra della tastiera, sulla ghiera dell'amplificatore, e' il mio.
Constatare che la tua casa e' stata violata e' traumatizzante. 
Ma forse riusciro' a costruire una teoria positiva anche su questo.
L'intelligenza e' l'arte di cambiare le carte in tavola.
C'era un tempo in cui nessuno voleva mangiare le interiora di bovino piene di cacca.
Poi qualcuno invento' la TRIPPA.
Il resto e' cronaca.

E' morto Angese, Sergio Angeletti per l'anagrafe. Un grande amico. Un grande artista.

SABATO 23 FEBBRAIO faremo una cerimonia in onore della sepoltura delle ceneri di Angese, che verranno tumulate alle ore 17, a Alcatraz.
Sergio e’ morto. Stroncato da una malattia che non aveva lasciato speranze.
Ma potremmo dire che e’ stato abbattuto mentre caricava a cavallo le trincee fortificate dei demoni. Sergio e’ stato un grande combattente per la liberta’. 
Uno che ha sempre messo la sua dignita’ di fronte alle convenienze. 
Uno dei piu’ grandi disegnatori italiani, giornalista e vignettista acuto, originale e geniale, al quale questo sistema di merda ha negato la possibilita’ di lavorare. 
Le grandi testate per le quali disegnava lo hanno via via cacciato perche’ non riusciva proprio ad arruolarsi nel manierismo leccaculo dominante. 
Dentro di me io piango il fratello che mi ha lasciato, ma sento che sia giusto innanzi tutto ricordare che era un combattente della liberta’ di pensiero, armato di un pennello sublime. E credo sia giusto dire che molto nella sua malattia ha pesato l'essere cacciato, esiliato, lasciato per anni senza lavoro. 
Lui non ha mollato, ha continuato giorno dopo giorno a pubblicare le sue straordinarie storie su www.angese.it. 
Giorno dopo giorno, nonostante nessuno lo pagasse per farlo. Incredibile costanza. 
E' andato cosi’ avanti per anni. Tentando continuamente nuove strade, resistendo nel dialogo con un pubblico di amanti della satira che lo avevano scovato nella rete. 
Sergio ha collezionato una quantita’ incredibile di porte sbattute in faccia. L'unico lavoro che gli era restato era uno spazio quotidiano sulla Nazione-Resto del Carlino, pagato una cifra vergognosamente bassa. 
Uno spazio concesso quasi con fastidio, in una situazione nella quale qualunque sua proposta veniva bruciata sul nascere. 
Sopravviveva in quello spazio perche’ non aveva altro e non voleva smettere di raccontare, comunque, a un grande pubblico. 
Un genio al quale e’ stato impedito di lavorare, di produrre le sue infinite idee. 
Lascia una casa che ha costruita pezzo per pezzo e che e’ un capolavoro di eleganza e fantasia. 
Lascia una quantita’ enorme di disegni e storie. E molti amici. 
Per ultimo ci ha regalato anche l'esperienza di vedere un uomo che affronta la morte con chiara coscienza della sua imminenza, continuando a vivere e amare la vita. 
Sicuramente vivro’ il tempo che avro’ a disposizione con una determinazione piu’ forte, in futuro. 
La vita e’ veramente preziosa e bellissima e anche nei frangenti piu’ tragici mantiene una sua poesia e eleganza. 
Sergio se ne e’ andato con grande eleganza, magro da far paura, con in testa il basco con la stella rossa, la barba quasi bianca, estremamente bello anche se scheletrico. 
Elegante come quando cavalcava lo stallone bastardo che aveva comprato a prezzo di carne da macello e trasformato in un magnifico alleato. 
Bastava un piccolo segnale delle redini e lo spostamento indietro del corpo e il cavallo iniziava a camminare a marcia indietro e sembrava danzasse. 
Se penso a Sergio lo vedo cosi’ anche se abbiamo passato molte piu’ ore a disegnare e discutere insieme piuttosto che a cavallo. 
Mi fermo qua. 
Vorrei aggiungere invece una nota. 
In quest'Italia di merda ci sono cose che funzionano in modo straordinario. 
In questi 2 mesi e mezzo di agonia abbiamo avuto contatti con diversi ospedali e cliniche, pubbliche e private. E abbiamo trovato isole di efficienza e di malsanita’ a volte divise solo da una porta. Nell'ultimo mese siamo finalmente approdati a una struttura pubblica assolutamente incredibile in Italia. Si tratta dell'Hospice di Perugia, clinica per le cure palliative, diretta dal professor Manlio Lucentini, con il quale collabora come psicologo il dottor Paolo Pannacci. 
Si tratta di un luogo confortevole, colorato, con camere grandi per ogni singolo malato con un letto a disposizione di un parente. Sala da pranzo comune con libreria, divani, cucine a disposizione. Infermiere e dottori sono gentilissimi e presenti in modo premuroso e amorevole. E soprattutto queste persone riescono a compiere il miracolo di farti arrivare alla morte senza dolore aiutandoti anche psicologicamente. Il che in Italia e’ moltissimo, visto che siamo agli ultimi posti nella graduatoria mondiale dl consumo degli antidolorifici per i malati terminali. Queste persone hanno accompagnato Sergio, giorno per giorno sostenendolo in ogni modo. E in questo nella disgrazia e’ stato fortunato. Sergio ha avuto una morte dura, con una lunga estenuante agonia. Ma certamente ha avuto sopra tutto il grande dono della presenza di Ceres, la sua amatissima moglie che si e’ prodigata al di la’ del possibile, standogli vicino giorno e notte in un modo che poche persone riescono a fare. E credo che questo, insieme all'affetto degli amici che sono venuti a trovarlo da tutta Italia, sia stato per Sergio una giusta consolazione, un riconoscimento di quanto il suo amore, la sua amicizia e il suo lavoro siano stati per noi un regalo importante. 
Ma tutto questo non sarebbe stato possibile senza l'esistenza dl'Hospice, di uno spazio umano dove Sergio ha potuto concludere con dignita’ la propria vita. 
PS 
Il corpo del grande Sergio Angese, verra’ bruciato. Le ceneri saranno sepolte nel territorio libero dell'Universita’ di Alcatraz secondo le sue ultime volonta’. 
Sulla strada che va alla torre, la’ dove sono le pietre dipinte, seppelliremo l'urna con le sue ceneri sotto una grande pietra sulla quale sara’ dipinto Astarte, il suo cavallo. 
Chi passera’ da quelle parti potra’ parlare ad Angese. 
Lui ha promesso che ascoltera’.
Che tu possa cavalcare in eterno nelle praterie del cielo.


Commenti

grazie Jacopo per questa mezz'ora che mi hai fatto passare ancora con Sergio
mi manca, mi manca tantissimo. Ogni volta che accade qualcosa penso a come la vedrebbe lui, che vignetta farebbe e come mi farebbe arrabbiare con un discorso scomodo e politically scorrect e quanto gli darei ragione appena mi fossi tolta i miei pregiudizi di vecchia comunista e femminista.
Scendevo in paese verso le 10 al mattino, per andare in banca o in posta ma la scelta dell'ora era perchè sapevo che lo avrei trovato lì, nel suo bar preferito a fare colazione. Mi sarei seduta con lui e avrei goduto di mezz'ora di discorsi altri, di filosofia, di tremenda satira.
Mi manca sì, mi manca la sua voce, il suo vestire da vecchio cowboy, coi colori del bosco. Mi manca la sua bellezza e il brillare dell'ironia e della rabbia nei suoi occhi.

 

grazie, jacopo, per aver condiviso con noi in anteprima questo bel ricordo di sergio angese, che lo fa conoscere un po' meglio a chi lo aveva incontrato solo sulle pagine delle riviste.

michele mordente

ps: l'eco della carogna di angese è durato otto numeri (non quattro); pessima grafica, ma splendidi contenuti!

Gocce, che stillano, rugiada sulle foglie, acque di fonte