COME SI RIDE IN AFRICA?

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di Jacopo Fo

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Volendo fare qualche cosa di utile per le popolazioni dei paesi in via di sviluppo (vedi Cacao della domenica del 12 luglio)
abbiamo scelto di concentrarci sull'Africa sia perché avevamo all'attivo l'esperienza di Simone Canova e del suo gruppo in Burkina Faso, sia perché per varie vicissitudini ci siamo sempre interessati all'Africa.
In particolare con Laura Malucelli ho scritto un libro: Schiave Ribelli che racconta la resistenza contro gli schiavisti e le rivolte degli schiavi in America. Inoltre da un anno stiamo gestendo un gruppo di studio sulle lotte degli schiavi in Brasile, storie incredibili di cui si sa poco, dove decine di migliaia di schiavi riescono a sbaragliare gli eserciti portoghesi, resistono per quasi un secolo a Benares, difendendo un grande territorio e una città. Ma a differenza di quel che accadde ad altre ribellioni di schiavi alla fine i neri brasiliani non vengono sterminati. Quando capiscono che non possono resistere più a lungo contro i nuovi cannoni europei, fuggono nella foresta amazzonica, nella quale scompaiono letteralmente per due secoli e mezzo. Vengono poi "scoperti" da alcuni antropologi negli anni '50, ancora pronti a combattere perché ignari della fine dello schiavismo. Sul punto si può leggere la storia sia in italiano che in inglese.
Torniamo al nostro progetto: cosa realizzare in concreto? Come muoverci?
Viste le nostre capacità ed esperienze, che riguardano in particolare tutte le forme di comunicazione e spettacolo, decidemmo che ci conveniva concentrare il nostro lavoro su due questioni concomitanti.
Da una parte avremmo potuto essere utili raccogliendo e diffondendo informazioni sui metodi sperimentati dalle organizzazioni solidali nel campo delle ecotecnologie. Ed è così che per il tramite del Nuovo Comitato Il Nobel per i Disabili Onlus abbiamo finanziato un gruppo di lavoro che ha realizzato il libro Ecotecnologie (a basso costo) per tutto il mondo, un testo che stiamo distribuendo gratuitamente a centinaia di onlus e che stiamo traducendo in varie lingue (ampliandolo continuamente grazie alle indicazioni che ci arrivano da molti).
Dall'altra parte volevamo arrivare in modo più incisivo e diretto alle popolazioni interessate: è nata così l'idea di dare vita a un esperimento di teatro di informazione con l'obiettivo di diffondere nei villaggi alcune soluzioni ecotecnologiche.
Ovviamente abbiamo subito scartato l'idea di essere noi a decidere cosa raccontare e a scrivere e recitare i testi teatrali. Non avrebbe avuto senso. Non abbiamo abbastanza esperienza per decidere quali messaggi proporre, non sappiamo quali storie possono appassionare e coinvolgere, c'è una grande distanza culturale che invaliderebbe qualunque tentativo in questa direzione, senza contare la barriera della lingua: nei villaggi più sperduti si parlano dialetti e nella migliore delle ipotesi lo swahili, una lingua bantu molto diffusa.
Però noi potevamo mettere la nostra esperienza al servizio di gruppi teatrali locali.
La prima domanda che ci siamo posti è: esistono nei villaggi più sperduti gruppi teatrali? e i loro canoni narrativi hanno punti di contatto con i nostri? La seconda domanda è: come si ride in Africa?
Le prime informazioni sull'argomento erano piuttosto scoraggianti.
Abbiamo trovato video e racconti su molte esperienze di teatro, che si è confermato uno strumento di grande diffusione. Ma si tratta soprattutto di spettacoli didattici, sui canoni del Teatro degli Oppressi, una forma di comunicazione molto efficace, basata su drammatizzazioni di situazioni emblematiche. Gli attori, spesso nelle piazze, mettono in scena discussioni e contrasti tra moglie e marito o tra insegnanti e allievi, e coinvolgono il pubblico nel dramma chiedendo alle persone di prendere il posto degli attori o di suggerire sviluppi delle situazioni. Esperienze formidabili per molti versi ma lontane da quello che sappiamo fare. Il Teatro dell'Arte viaggia su altri schemi di comunicazione, ha bisogno di macchine narrative, situazioni comiche che portano all'estremo scenari tipici, costruendo parabole e giocando con i rovesciamenti e lo stupore.
Approfondendo le nostre ricerche abbiamo però scoperto che anche in Africa (com'era da supporre) esiste una grande tradizione di teatro comico, radicata nelle feste dei villaggi più sperduti, dove resistono tradizioni non ancora contaminate, dove, soprattutto durante i matrimoni e le altre ricorrenze, il teatro comico è sempre presente. Quindi c'era pane per i nostri denti.
Prese queste decisioni sul piano generale restava il problema di come e dove costruire questa esperienza dal punto di vista pratico.

Abbiamo iniziato a usare il tam tam della rete, a chiedere ad amici e lettori dei nostri siti, a far circolare la voce e poi, come spesso succede quando riesci a immaginare un buon progetto, una serie di casualità ci ha messi sulla strada di Medici con l'Africa Cuamm, e di Eni Foundation che collabora con questa ong e la finanzia.
Abbiamo chiesto un incontro con Filippo Uberti e Stefano Cianca di Eni Foundation, descritto il nostro progetto e verificato che c'era interesse e disponibilità a sostenere il costo di questa impresa. In particolare in Mozambico, nella zona di Palma, in stretta collaborazione e grazie a Eni Foundation, Medici con l'Africa Cuamm gestisce un Centro di Salute. Si tratta di un'area dove in piccoli villaggi di capanne vivono circa 50mila persone, che affrontano ogni giorno grandi difficoltà.
Medici con l'Africa Cuamm offre gratuitamente servizi sanitari per le emergenze ostetriche neonatali, gestisce due sale operatorie con attrezzature moderne e una casa dedicata alle donne che devono partorire.
Dunque, i medici di Cuamm e il personale di Eni Foundation ci spiegano che sarebbe molto utile aiutarli a diffondere in quella zona la cultura della prevenzione sanitaria.
Quando capiamo che si tratta di andare a lavorare nel nord del Mozambico, ci sembra una coincidenza beneaugurante. Nelle ricerche storiche che abbiamo realizzato ci siamo spesso occupati dei popoli che abitano proprio quella regione, dove la maggioranza è costituita dall'etnia Macua , un popolo di discendenza San. Gli stessi dei quali abbiamo scritto a proposito della resistenza ai cacciatori di schiavi e delle rivolte nere in Brasile (il Mozambico era una colonia portoghese).
Poi scopriamo che anche presso i Macua è conosciuto un Arlecchino nero, maschera attraverso la quale gli attori dei villaggi giocano con gli stereotipi, inventando personaggi e situazioni esilaranti e simboliche.
Queste coincidenze, della presenza dell'etnia San e dell'esistenza di una specie di "arlecchino"nella zona dove ci si propone di lavorare, è solo l'inizio di una serie di casi divertenti, che ci portano a incontrare le persone giuste al momento giusto e ci danno davvero la sensazione che le coincidenze beneauguranti ci siano tutte!
Ora possiamo iniziare a darci da fare: intanto dare finalmente un nome al nostro progetto: "Il teatro fa bene" ci sembra azzeccato.
E poi ne devo assolutamente parlare con Simone...

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