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Verano, Roma: rubava le foto dalle tombe per “cercare la donna della sua vita”, come ha dichiarato agli agenti. Fortunatamente lo hanno preso prima che potesse consumare le nozze.


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“Se una foto mi piace, se mi turba, io v’indugio sopra. Che cosa faccio per tutto il tempo che me ne sto davanti a lei? La guardo, la scruto, come se volessi saperne di più sulla(…)persona che essa ritrae.(…)In un primo momento, ho esclamato:”E’ lei!E’ proprio lei!Finalmente l’ho trovata!”Adesso, pretendo di sapere – e di poter dire compiutamente- perché, in che cosa è lei. Ho voglia di delineare mentalmente il volto amato, di farne l’unico campo di un’osservazione intensa; ho voglia d’ingrandire questo volto per vederlo meglio, per capirlo meglio, per conoscere la sua verità.(…)Ma ahimè, per quanto scruti, io non scopro niente: se ingrandisco, non faccio altro che ingrandire la grana della carta: disfo l’immagine a vantaggio della sua materia; e se non ingrandisco, se mi accontento di scrutare, non ottengo che un solo sapere, che possiedo da molto tempo, sin dalla mia prima occhiata: il sapere di ciò che è effettivamente stato: l’approfondimento non ha prodotto niente. Davanti alla Foto(…), io sono un cattivo sognatore che invano protende le braccia verso il possesso dell’immagine; sono Golaud che esclama: “Che misera vita è mai la mia!”, perché non saprà mai la verità di Mélisande.(Mélisande non nasconde, ma non parla. Così è la Foto: non sa dire ciò che dà a vedere).”
Roland Barthes, La camera chiara, trad. it. Einaudi, Torino 1980: pagg.99-100-101.