Altre notizie dai nostri siti

Facebook Instagram TikTok YouTube Twitter Jacopo fo english version blog

 

RESTIAMO IN CONTATTO!

PER CONOSCERE GLI ULTIMI AGGIORNAMENTI VISITA LA MIA PAGINA FACEBOOK

 

Nasce Macchitella Lab, un polo aperto alla formazione e alla innovazione

Gela Le Radici del Futuro - Mer, 10/08/2025 - 10:54

 

Macchitella Lab è il risultato della rinascita e trasformazione dell’ex Casa Albergo dell’Eni a Gela, una struttura costruita all’inizio degli anni Sessanta nel cuore del quartiere di Macchitella per ospitare il personale dell’Eni.

L’edificio, completamente riqualificato e ristrutturato, firmato dagli architetti Vincenzo Castellana e Rosanna Zafarana, è stato ceduto da Eni in comodato d’uso al Comune di Gela per due anni, con possibilità di proroga. I lavori, dal valore di circa tre milioni di euro, sono stati interamente finanziati attraverso i fondi delle compensazioni industriali dovute per la città. Riqualificata anche l’area esterna.

Oggi Macchitella Lab diventa un polo aperto a formazione, imprenditorialità, innovazione giovanile e rigenerazione sociale, con ambienti di coworking, laboratori, spazi per start up.

 Eni e il Comune di Gela sono affiancati nello sviluppo del progetto anche  dall’Università Kore di Enna, da Sicindustria e dalla Fondazione Enrico Mattei.

“Questo iconico immobile, dopo un lungo percorso, a tratti anche complesso, diventa finalmente disponibile e fruibile per tutta la comunità”, ha affermato Walter Rizzi, in rappresentanza della Bioraffineria di Gela Enilive. “Macchitella Lab sarà un polo polifunzionale al servizio di tutta la cittadinanza. Segno tangibile dell’impegno di Eni verso il territorio, in particolare verso le nuove generazioni”.

Per il sindaco di Gela, Terenziano Di Stefano, Macchitella Lab “era un impegno della nostra amministrazione: da qui partiranno corsi universitari, incubatori d’impresa e attività per i giovani e incarnerà il simbolo di una città che non vuole arrendersi. Macchitella Lab sarà il punto di riferimento per chi vuole investire su sé stesso e sul proprio territorio, sviluppando idee e innovazioni per creare il proprio futuro”.

Foto: Archilovers.com

L'articolo Nasce Macchitella Lab, un polo aperto alla formazione e alla innovazione proviene da Gela Le radici del Futuro.

Categorie: Altri blog

Il Centro di Educazione Ambientale Oasi Bosco Faggeto “un’aula a cielo aperto”

CuoreBasilicata - Lun, 10/06/2025 - 13:06

 

 

 

Quando la storia di un luogo si interrompe anche la sua anima rischia di scomparire. Le storie dei luoghi che hanno un’anima vanno ripristinate per farli vivere con la comunità”. Queste le parole del sindaco di Moliterno, Antonio Rubino, sulla riapertura dopo un fermo di 7 anni,  del CEAS (Centro di Educazione Ambientale e alla Sostenibilità) “Oasi Bosco Faggeto”, un evento positivo per Moliterno, per il territorio e per il Parco Nazionale Appenino Lucano Val d’Agri Lagonegrese.

L’Oasi Bosco Faggeto di Moliterno è un luogo dall’anima millenaria, attraversarlo significa entrare in una  cattedrale verde, dove gli alberi altissimi, antichi, immobili, sussurrano storie dimenticate.

La faggeta, una delle più estese e suggestive della Basilicata, nel cuore del Parco Nazionale Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese, si presenta in tutta la sua maestosità con un sottobosco mosaico vivente di felci e muschi che fanno da scrigno, tra la primavera e l’inizio dell’estate, a piccole meraviglie, gioielli nascosti tra erba e foglie, le Orchidee Spontanee. Minuscole, delicate, perfette, se ne trovano una decina di specie, alcune rarissime, tutte diverse per forma, colore e habitat. Per riconoscerle serve tempo, pazienza e occhio attento, è la natura che ci ricorda quanto sia importante rallentare per poter vedere davvero.

Ma l’Oasi non è solo natura, è anche memoria, è la voce dei pastori che un tempo attraversavano questi sentieri, le tracce di antiche transumanze, i muretti a secco che raccontano di mani pazienti e vite semplici. Ogni stagione offre qualcosa di unico: l’autunno accende i colori del bosco di toni caldi e struggenti, l’inverno lo avvolge in un silenzio candido e ovattato, la primavera lo risveglia con mille voci e l’estate lo rende rifugio fresco per chi cerca sollievo dal caldo.

Chi attraversa il Bosco Faggeto con passo lento e mente aperta, non può rimanere indifferente alla sua fragilità. È un ecosistema prezioso che oggi più che mai ha bisogno di essere ascoltato, rispettato e protetto. A Moliterno questo impegno ha un nome e un volto: CEAS “Oasi Bosco Faggeto”.

Il Centro di educazione ambientale è stato istituito nel 2005 e la sua sede è la ex Casa Cantoniera nell’area SIC, nei pressi del Bosco Faggeto di Moliterno, sulla S. P.103.

Gestito dalla Cooperativa META, accreditata già dal 2006 quale centro di educazione ambientale e alla sostenibilità, si pone come obiettivo la  promozione di una cultura ecologica profonda e partecipata.

Il CEA è un presidio attivo sul territorio che attraverso laboratori, escursioni guidate, progetti per le scuole e iniziative rivolte ai visitatori, trasforma l’esperienza nel bosco in una occasione concreta di consapevolezza che la natura non è un servizio ma è maestra. E camminando tra i faggi possiamo tornare, forse, un po’ più umani, un po’ più custodi, un po’ più parte del tutto.

La cooperativa, che gestisce l’intera area dell’Oasi Bosco Faggeto, è adesso pronta ad accogliere scuole e gruppi di turisti e grazie alla disponibilità di camere da letto, organizzate al piano superiore della ex casa cantoniera, potrà ospitare campi estivi residenziali, gruppi Scout, escursionisti, anche in sinergia con altre associazioni.

Il sindaco Rubino durante l’inaugurazione ha descritto l’Oasi del Bosco Faggeto come “un contesto ambientale di grandissimo pregio dove si respira la tranquillità dei nostri luoghi e la bellezza della natura dove, soprattutto i più piccoli, possono avere quelle nozioni di educazione ambientale che servono per il rispetto del Creato e per un nuovo stile di vita sostenibile” ed ha affermato che “Grazie alle attività promosse dalla cooperativa che gestisce il CEA si può far partire un nuovo modo per vivere i nostri comuni, per attrarre turisti, visitatori, esperti che si occupano di Orchidee spontanee che qui trovano un habitat eccezionale”. Infatti il centro ospita la sede regionale del GIROS (Gruppo Italiano Ricerca sulle Orchidee Spontanee), collabora a studi e monitoraggi delle orchidee nel territorio anche in collaborazione con l’Università degli Studi della Basilicata e con l’Università di Napoli e, dal giorno della inaugurazione, ospita una mostra inedita di fotografie sulle orchidee spontanee del Bosco Faggeto di Moliterno.

Sull’importanza di strutture come il CEA è intervenuta, durante la cerimonia di riapertura, anche la Dott.ssa Laura Mongiello, Assessore all’Ambiente e Transizione Energetica della Regione Basilicata, parlando dell’Oasi Bosco Faggeto lo ha definito “una vera e propria aula a cielo aperto in cui educare alla tutela, al rispetto ed alla conservazione della biodiversità”.

Il Presidente del Parco Appennino Lucano Antonio Tisci ha ricordato “Il CEA si inserisce nei progetti che abbiamo fatto e stiamo facendo  per portare anche i ragazzi a visitare le unicità ambientali ed ecosistemiche del territorio del Parco”.

L’Oasi Bosco Faggeto di Moliterno rappresenta un luogo dove poter ritrovare il senso del tempo, della natura e della bellezza autentica e il CEAS si prende cura di questo incontro con il Creato accompagnando, passo dopo passo, verso un mondo più consapevole.

 

Agnese Rubino

Foto: Agnese Rubino

Polifoto

Categorie: Altri blog

Santa Maria dell’Aspro e il frate “ribelle tranquillo”

CuoreBasilicata - Dom, 09/28/2025 - 10:33

 

Ci sono luoghi che non si visitano, si vivono.  Luoghi dove il tempo non è nemico ma compagno.

Nel cuore della Basilicata, incastonata tra le vette del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val d’Agri – Lagonegrese, si apre una terra di silenzi profondi, di boschi che respirano con te, di paesi aggrappati alle rocce e di storie sussurrate dal vento, la Valle dell’Agri. È qui che il turismo lento trova la sua voce più autentica. Camminare in Val d’Agri non è solo muoversi, è ascoltare, ritrovare il  ritmo del proprio passo, il battito del proprio cuore e  il senso della presenza.

Scegliere la Val d’Agri per un viaggio lento non è una moda ma una necessità dell’anima. In un mondo che corre qui si rallenta, si cammina, si respira, si osserva, si parla e soprattutto si ascolta. Destinazione ideale per escursionisti, pellegrini, viandanti moderni, ma anche per chi semplicemente ha bisogno di riscoprire la bellezza delle cose semplici.

Camminare in Val d’Agri è imparare che viaggiare non è arrivare ma restare in un luogo, con la mente, con il cuore, con la memoria. E quando si ritorna a casa qualcosa di questa terra rimane, il profumo dei boschi, il rumore delle foglie calpestate lungo i sentieri, una promessa lasciata alla montagna.

Il turismo lento qui è una necessità perché solo rallentando si può cogliere il vero significato dell’essere accolti da una terra che non ha bisogno di gridare per farsi notare, è un modo diverso di guardare il mondo, è scegliere strade secondarie invece che autostrade.

Non serve andare lontano per perdersi nel bello.

Qui il tempo non scorre con le lancette ma con il passo lento dei viandanti e il respiro quieto della terra. È il  tempo del cammino, quello che riconnette l’anima al paesaggio e da voce a luoghi dimenticati. E proprio in uno di questi angoli sospesi tra storia e silenzio, sorge il Monastero Francescano di Santa Maria dell’Aspro, nel borgo di Marsicovetere, nascosto tra le pieghe della Basilicata più autentica.

Tra le  colline che sfumano nel verde e le pietre che raccontano storie antiche, il pellegrino moderno ritrova qualcosa di prezioso: la meraviglia della lentezza, il senso dell’attesa e quella fragile bellezza che solo i luoghi fuori dal tempo sanno donare. Il monastero di Santa Maria dell’Aspro, ex Convento di Santa Maria di Loreto, non è un luogo da visitare, ma da raggiungere con rispetto, non si guarda,   ma si ascolta, perché è molto di più  di una semplice tappa, è un incontro. Quando si sale lungo le pendici del monte Volturino, sul sentiero che da Villa d’Agri (frazione di Marsicovetere) porta al Convento, il paesaggio si apre su spazi verdi, ulivi nodosi, arbusti di ginestre, rocce spoglie.

Il rumore del mondo si affievolisce passo dopo passo, lasciando spazio al respiro della  natura, al fruscio del vento tra le fronde, al battito del cuore che si fa eco tra le colline. Il silenzio cresce e ci si ritrova sospesi nel tempo, tra rovine, frammenti di pietra, segni di restauri recenti. Non è solo un cammino fisico, ma interiore, ogni passo verso il convento invita a rallentare, a contemplare la meraviglia del Creato nel panorama che, in un tramonto, si fa pittura e preghiera. Santa Maria  dell’Aspro appare all’improvviso, discreta e raccolta, quasi volesse farsi trovare solo da chi davvero la cerca, e non colpisce con la grandiosità ma con la sua sacralità silenziosa. È una chiesa che sembra nata dalla terra stessa, una continuazione naturale del paesaggio, fatta della stessa pietra che ha visto generazioni pregare, sognare, sperare. Il suo nome “Aspro”, parla di asprezza forse del terreno su cui è sorta nel XII secolo, forse delle vite  che qui si  sono intrecciate nei secoli. Ma in questa parola c’è anche la forza, la tenacia della fede popolare, la dolcezza nascosta tra le rughe del tempo.

La presenza Francescana in Basilicata è viva a partire dagli anni 30-40 del XIII secolo, l’ordine religioso francescano con le sue quattro famiglie dei Conventuali, degli Osservanti, dei Riformati e dei Cappuccini è quello maggiormente diffuso, e sul finire del 1200 e l’inizio del 1300 sorgono i primi insediamenti avviati alla stabilità conventuale in alcuni centri della regione. Non mancano in territorio lucano, stazioni eremitoriali, due di queste si trovano proprio in Val d’Agri: San Michele presso Saponara (Grumento Nova) e Santa Maria dell’Aspro presso Marsicovetere.

E qui, sul pendio della Valle dell’Agri è custodita ancor oggi l’eco di una voce, quella di Angelo Clareno, frate “ribelle tranquillo”  che fece del Monastero di Santa Maria dell’Aspro il suo ultimo rifugio. Al secolo Pietro Chiarino, fu l’esponente di spicco del movimento degli Spirituali che attraverso una interpretazione molto rigida della regola francescana, aspiravano ad una vita ascetica, povera, particolarmente austera ed intransigente. Per i canonisti del ‘300 gli Spirituali sono una sorta di setta eretica e per questo, nel 1334 il Papa Giovanni XXII ordina la cattura di Clareno per sottoporlo a giudizio. Il frate riesce a darsi alla fuga ma bisognava individuare un luogo sperduto e difficile da raggiungere e, in pieno ‘300, il sud Italia è il luogo ideale per offrire rifugio ad un perseguitato.

È così che la Valle dell’Agri, a quel tempo inaccessibile e selvaggia, si offrE quale luogo ideale ad Angelo Clareno che, dopo una vita di privazioni e austerità, ferma la sua fuga nell’eremo di Santa Maria dell’Aspro presso Marsicovetere. Il motivo per cui si ferma proprio in questo luogo ci è ignoto, come anche l’itinerario del suo viaggio, ciò che rimane della vicenda sono le notizie circa il soggiorno in Val d’Agri di questo frate dalla figura controversa e affascinante. L’ambiente umano e naturale che caratterizza questi luoghi è il terreno fecondo dove si innestano le radici di queste esperienze eremitiche e mistiche. Se per l’eremita era importante la salute dello spirito più di quella del corpo, la guarigione dalle malattie era il desiderio degli abitanti dei luoghi limitrofi a Santa Maria dell’Aspro, del popolo minuto composto soprattutto d contadini e pastori. Stando ai testi agiografici sul Clareno la popolazione della Val d’Agri soffriva di diverse patologie agli occhi, alle braccia, alle gambe ed alla gola, oltre ad essere flagellata da tumori di ogni tipo. Secondo i documenti il frate spirituale guarì un bambino di Satriano, un piccolo lebbroso di Saponara e un ragazzino di Montemurro. L’intervento del Clareno fu miracoloso per guarire piaghe, fistole e ingrossamento dei linfonodi come nel caso di un muratore di Viggiano che si recò all’eremo per ottenere l’imposizione delle mani. Il frate, per non dare di sé l’immagine del taumaturgo, si rifiuta più volte ma poi, convinto dall’insistenza del malato, lo toccò determinando la scomparsa della malattia.  Clareno muore nell’eremo alle pendici del monte Volturino nel 1337, e benché nel  tempo la memoria materiale sia svanita, di lui restano questi preziosi ricordi a testimonianza di una pagina affascinante del francescanesimo lucano che accolse una delle figure straordinarie del ‘300, uno degli uomini più ammirati e più denigrati di quel tempo, uomo  di grande cultura che dopo aver vissuto ad Avignone negli anni della corte papale, girovagato per l’Italia, perseguitato e fuggitivo, termina la sua esistenza in questo luogo remoto nell’interno della Basilicata tra boschi selvaggi e silenzi profondi, luogo di vita ascetica e severa.

Sebbene qui il tempo sembrI essersi fermato, nel 2008 ha avuto inizio una campagna di recupero del Monastero, è stata rinvenuta la pavimentazione originale e negli ultimi anni è stato possibile il recupero della Chiesa e delle mura grazie all’opera di restauro del Comune di Marsicovetere.

Visitare oggi Santa Maria dell’Aspro è un “pellegrinaggio lento” e non serve necessariamente essere credenti per essere avvolti dal fascino di questo luogo.

Visitare luoghi come questo significa onorare la lentezza, restituire valore alla storia, al tempo, alla spiritualità. È un turismo che non consuma ma accarezza, che non prende ma riceve, non fotografa soltanto ma affascina e contempla.

 

Agnese Rubino

Foto: Pellicoro, Alessio(https://dati.beniculturali.it)

Wikipedia

Parrocchia Villa d’Agri B.V. Addolorata

Categorie: Altri blog

La fantastica storia di Francesco Ferramosca, musicista di Viggiano

CuoreBasilicata - Ven, 09/05/2025 - 15:48

L’infanzia

Francesco Ferramosca (nato il 23 agosto 1893) era un violinista professionista di Viggiano che emigrato a Johannesburg , Sud Africa, salì alla ribalta negli anni ’10 del ‘900 come uno dei violinisti più talentuosi del paese. Primi anni di vita

Francesco era il quinto figlio di Giuseppe Ferramosca e Agnese Mariarosa Miraglia. A parte due figli morti in giovane età, lui e i suoi tre fratelli rimanenti erano tutti musicisti di talento a Viggiano. Iniziò a studiare violino all’età di sei anni e ben presto mostrò grandi doti. Tuttavia, dopo alcuni anni contrasse la tubercolosi e la sua salute peggiorò. Fu allora che suo padre decise di portarlo in Sudafrica, noto per il suo clima secco e per le strutture dedicate alla cura della tubercolosi. La famiglia aveva contatti con diversi musicisti italiani a Johannesburg, così Giuseppe portò Francesco e suo fratello Nicola a Johannesburg intorno al 1907 per cercare cure per lui. Francesco fu affidato elle cure degli amici e suo padre e suo fratello tornarono a Viggiano.

Carriera

Durante le cure, Francesco continuò a studiare violino. A quei tempi, Johannesburg assomigliava a un campo minerario invaso dalla vegetazione, con pochissimi grandi edifici circondati da case comuni. C’era poco lavoro fuori dalle miniere e quasi nulla per un giovane musicista. Francesco fu ridotto a suonare per strada per pochi centesimi, ma quello si rivelò l’inizio della sua carriera. Nel 1908, un rinomato trio musicale d’oltremare composto dai tre fratelli Cherniavsky, Leo (violino), Mischel (violoncello) e Jan (pianoforte), era in tournée in Sudafrica. Videro Francesco esibirsi per strada e rimasero così colpiti dal suo timbro e dal suo virtuosismo che trascorsero mesi ad allenarlo e a perfezionare la sua tecnica. Questo alla fine portò Francesco a unirsi a un trio con Lorenzo Danza al pianoforte e Reuben Goldberg al violoncello. Il trio divenne molto popolare e suonò in locali in tutto il Reef , Pretoria , e nella vicina Lourenço Marques (ora Maputo ), Mozambico ,  così come a matrimoni mondani. 

Orchestra Ferramosca al Waldorf Cafe, Città del Capo, 1925

Durante i suoi concerti, incontrò Doris Gwendoline Helliwell , un’affermata pianista concertista, che in seguito lo accompagnò in diverse occasioni. Francesco sposò Doris  e ebbero due figli, Joseph Frederick Lorenzo (“Genzie”) Ferramosca e Frank Eugene (“Chickles”) Ferramosca.

Il trio suonava regolarmente al Balcony Tea Room di Johannesburg . Negli anni successivi, il trio si espanse fino a diventare un’orchestra di sette elementi (“Orchestra Ferramosca”), con Francesco come leader. Nel 1920 Francesco era riconosciuto come il miglior violinista del paese. Nel giugno del 1924, partì con la sua famiglia per un breve tour in Italia,  e un “comitato influente” organizzò per lui un concerto di beneficenza, con un “programma musicale molto attraente”. 

Nel 1925 a lui e alla sua orchestra fu offerto un posto fisso al Waldorf Cafe , Città del Capo  e decisero di trasferirsi con la sua famiglia a Mouille Point . Mentre era a Città del Capo, si esibì con la Cape Town Symphony Orchestra in diverse occasioni. Dopo tre anni, tornò a Johannesburg all’inizio del 1928, dove si esibì con la Johannesburg Symphony Orchestra e suonò serate alla sala da tè OK e infine al Rondi’s. L’orchestra fu la prima a trasmettere da una sala da tè, avendo uno spazio regolare di mezz’ora sulla stazione radio locale SABC.

Francesco con i suoi due figli, Frank e Lorenzo, Johannesburg, 1929 Vita successiva

L’aria umida e il maltempo a Città del Capo ebbero un effetto dannoso sulla salute di Francesco e la sua tubercolosi riemerse. Dopo il ritorno a Johannesburg, la sua salute peggiorò significativamente e dopo alcuni mesi fu ricoverato in isolamento presso il Sanitarium di Nelspoort [8] nel deserto del Karoo , rinomato per il trattamento della tubercolosi. Fece buoni progressi e tornò a Johannesburg nell’ottobre del 1928 per riprendere la sua carriera. Tuttavia, gli orari strani e l’atmosfera fumosa ebbero il loro peso e trascorse altri tre mesi a Nelspoort. Tornò a Johannesburg, ma poco dopo soccombette a un mal di gola e morì nel maggio del 1932 all’Hillbrow General Hospital. È sepolto al cimitero di Westpark, Johannesburg.

Categorie: Altri blog

“ALLA SCOPERTA DELLA BASILICATA SLOW: PATERNO E TRAMUTOLA”

CuoreBasilicata - Ven, 08/08/2025 - 17:14

 

Il turismo lento è un atto di “ribellione gentile”: è scegliere la bellezza della lentezza, l’incontro autentico, l’ascolto dei propri passi e del battito della terra. Tra i boschi del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano e le acque limpide che sgorgano dalle sorgenti del fiume Agri, tutto sembra invitarti a rallentare. Qui ci sono luoghi dove ogni passo è un ritorno all’essenziale, ogni sguardo un incontro, ogni silenzio una parola. Paterno e Tramutola, nel cuore della Val d’Agri, sono due borghi che non si limitano ad esser visitati, si lasciano abitare, anche solo per qualche ora, ma quel tempo lascia un segno profondo e sincero, non offrono attrazioni da checklist ma esperienze da custodire.

Arrivare a Paterno è come immergersi in un racconto scritto con l’inchiostro della memoria, percorrendo vicoli, archi e piazze ci si ritrova avvolti da un’atmosfera sospesa nel tempo. Nel centro storico ogni portone antico è custode di storie e di ricordi, da visitare la chiesetta di San Rocco, sul colle del rione Raia, simbolo di devozione popolare; la chiesa del Sacro Cuore con la sua grotta rocciosa e la statua in pietra della Madonna, ponte tra fede e natura; il Santuario di San Giovanni Evangelista, ex Chiesa Madre del 1742, ricostruita dopo il terremoto del 1857. Solo l’abside e l’icona originale della Madonna sopravvissero al disastro, ora restaurati e carichi di pathos spirituale.

Intorno al borgo si snodano sentieri tra ulivi, vigneti e boschi ideali per camminate meditative o escursioni leggere a piedi o in bicicletta. Degno di nota è il Parco Fluviale dell’Agri che attraversa il territorio di Paterno, un contesto naturalistico di pregio, ricco di sorgenti e legato all’antica storia locale. Immerso nella natura, dotato di percorso ciclo-pedonale, è il luogo ideale per passeggiare tra pioppi, ontani, querce e salici, raccogliere more in estate e incontrare aironi cenerini e picchi accompagnati dal rumore dell’acqua limpida e cristallina. Altri luoghi emblematici del rapporto di Paterno con l’acqua sono la Sorgente Sorgitora che offre la possibilità di fare escursioni tra rocce carsiche e affioramenti calcarei fino alla sorgente a quasi 980 m. e regala un’esperienza immersiva nella biodiversità del parco, e il Palazzo dell’Acquedotto bellissimo complesso realizzato in epoca fascista, costituito da una fontana in pietra locale in cui l’acqua sgorga da bocche di leone e da un caseggiato in stile razionalista, sede storica dell’Acquedotto Lucano.

Non lontano, dalla sommità del Monte Amoroso si può ammirare un panorama mozzafiato su tutta la valle dell’Agri e, nelle giornate terse, fino alla Certosa di San Lorenza a Padula in Campania. Nei dintorni di Paterno inoltre si possono anche visitare caseifici artigianali o assaporare piatti della tradizione in piccoli agriturismi immersi nella natura.

A pochi chilometri da Paterno sorge Tramutola che accoglie il visitatore con il dolce suono dell’acqua che scorre proprio nel cuore del centro storico del piccolo borgo dove si trova l’antico lavatoio in pietra “Ngap l’acqua”, costruito nel XVII sec., luogo simbolico dove un tempo le donne del paese si riunivano per lavare i panni, in un gesto semplice ma pieno di vita comunitaria. Le sue fontane, ornate da pietre antiche, sembrano raccontare qualcosa ogni volta che ci si avvicina. Forse narrano racconti di una vita semplice o forse ricordano che “tutto scorre” ma nulla si perde davvero.

È una passeggiata tra balconi segreti, vicoli accoglienti con palazzi nobiliari impreziositi da stemmi, portali e piccole sculture in pietra raffiguranti figure femminili, simbolo di fertilità e comunità. Impossibile restare indifferenti entrando nella Chiesa Madre della Madonna dei Miracoli, al suo interno si ammira un magnifico polittico del 1590 e un coro ligneo seicentesco di straordinaria fattura. Di fronte si trova la Chiesa del Rosario con il suo imponente altare intagliato in legno dorato e il portale ligneo decorato del 1671.

Tramutola è uno di quei paesi che si ascoltano, si ascoltano i silenzi del bosco, il canto degli uccelli che attraversano i cieli, il vento che scompiglia le foglie, ma si ascoltano anche le persone: i racconti dei pastori, le ricette delle nonne, i ricordi che si intrecciano alle leggende. E mentre percorri i sentieri scopri che la natura non è solo uno sfondo, ma è presenza viva, compagna di viaggio, custode di anime.

Ma tornando all’acqua, simbolo di vita e di memoria, anche a Tramutola è protagonista come lo specifica anche il nome “Terra motola” cioè ricca d’acqua, il Sentiero verso la Sorgente Caolo è un itinerario poetico: una gola naturale, sorgenti sulfuree, il suono dell’acqua accompagna ogni passo e invita a lasciar andare i pensieri circondati da un paesaggio che è come una tavolozza di forme, colori, profumi e tempo che scorre lento. È un’escursione perfetta per chi cerca respiro e connessione profonda con la terra.

Sulle pendici della sorgente, l’Acquapark Val d’Agri offre un’esperienza estiva all’insegna del fresco: piscine, scivoli, aree picnic e relax immersi nella natura lucana. Tramutola in autunno è terra di castagne, la Sagra della “Munnaredda”, che si tiene ogni anno generalmente alla fine di ottobre, celebra la castagna locale con escursioni, degustazioni, incontri con la comunità trasformando il gusto in racconto e memoria.

Visitare Paterno e Tramutola non vuol dire solo “andare” in un luogo ma “essere” in quel luogo; sedersi su un muretto a guardare il tramonto, partecipare ad una festa di paese in una serata d’estate, accettare di non aver fretta, do non voler “fare tutto” ma scegliere di sentire e vivere tutto; scegliere una forma di turismo che tocca il cuore, un viaggio per chi ha smesso di inseguire le cose ed ha iniziato a cercare esperienze vere.

In questi borghi lucani il turismo lento non è un’etichetta ma una filosofia, è un invito a vivere il viaggio con il cuore aperto, lo sguardo curioso e il passo leggero, è la possibilità di riscoprirsi, lontano dal rumore, vicino a sé stessi. Qui non troverete grandi folle, né vetrine luminose ma troverete qualcosa di più raro, la verità di un’Italia autentica, la bellezza di un tempo che non corre ma si concede, un tempo che non scappa ma ti aspetta, passo dopo passo e dove la natura non si mostra ma si dona. Non ha importanza che si venga in questi luoghi per un giorno o per una settimana, basta portare con sé soltanto una cosa, la voglia di sentire, perché a Paterno e a Tramutola non è importante quante cose vedi ma quanto profondamente le vivi.

Agnese Rubino

Foto:

Comune di Paterno

Comune di Tramutola

Wikipedia

Categorie: Altri blog

A Gela una necropoli a cielo aperto!

Gela Le Radici del Futuro - Lun, 08/04/2025 - 12:11

A Gela, durante i lavori per la posa della fibra ottica, è venuta fuori una necropoli greca di età arcaica, perfettamente conservata, probabilmente risalente al VI-VII secolo avanti Cristo, contenente dieci tombe di bambini.

Per rendere fruibili i reperti è stata posta una lastra trasparente e calpestabile che permette di poter ammirare la necropoli dei bambini, in via Di Bartolo. Attraverso questa lastra calpestabile si possono osservare, anche di notte grazie ad un impianto di illuminazione,  tombe di bambini intatte e oggetti della vita quotidiana di 2500 anni fa come ad esempio una trottola di ceramica.

Si tratta di un ritrovamento di straordinario valore come straordinaria anche è stata l’idea di farne un “museo a cielo aperto”.

L'articolo A Gela una necropoli a cielo aperto! proviene da Gela Le radici del Futuro.

Categorie: Altri blog

Un agosto fantastico nel cuore della Basilicata!

CuoreBasilicata - Lun, 08/04/2025 - 11:07

Spettacoli, musica, eventi, incontri, sagre del gusto, emozione, natura…

Nel cuore della Basilicata si vive un agosto fantastico!

Basta collegarsi alle pagine social dei Comuni di Calvello, Grumento Nova, Marsico Nuovo, Marsicovetere, Moliterno, Montemurro, Paterno, Sarconi, Spinoso, Tramutola, Viggiano per conoscere il cartellone del programma proposto da ciascun Comune.

Sulla pagina Facebook di www.cuorebasilicata.it trovate poi le segnalazioni di molti tra gli eventi principali.

Buon agosto!

 

Categorie: Altri blog

ALLA SCOPERTA DELLA BASILICATA SLOW: MARSICOVETERE E MARSICO NUOVO

CuoreBasilicata - Lun, 07/21/2025 - 12:02

Nella foto: notturna del castello di Marsicovetere. Francesco via Wikipedia

C’è un angolo della Val d’Agri dove il tempo rallenta, dove le montagne abbracciano il cielo e il silenzio ha il profumo delle ginestre in fiore, è la Lucania più autentica, quella che vive nei borghi arroccati come Marsicovetere e Marsico Nuovo, due perle incastonate nel cuore del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese. Qui il turismo non è una corsa contro il tempo ma un invito alla lentezza, un passo dopo l’altro si scopre che camminare è vedere davvero.

Questi sono luoghi che non si limitano ad esistere sulla mappa, vivono nella memoria di chi li ha attraversati, nelle radici di chi li abita, nel battito lento della montagna che li ospita.

Marsicovetere e Marsico Nuovo non chiedono di essere visitati, chiedono di essere vissuti.

Adagiato tra le vette del Monte Volturino, a 1000 m sul livello del mare, il borgo di Marsicovetere è un sussurro che arriva dal passato, un piccolo borgo che sembra uscito da un racconto antico. Le sue strade in pietra raccontano storie di fatica e dignità, di generazioni cresciute con poco ma con tutto: il cielo, la terra, la famiglia. Il piccolo centro storico, con i suoi archi e le stradine lastricate, quasi sospeso tra terra e nuvole regala scorci che tolgono il fiato: balconi fioriti, antichi portoni in legno scoloriti dal tempo, ogni passo è una carezza alla memoria. Le strade acciottolate guidano i passi verso panorami che si aprono all’improvviso su valli verdeggianti, dove il silenzio è rotto solo dal canto degli uccelli. Turismo lento in questo paesino è sedersi su una panchina al tramonto e ascoltare un anziano raccontare la storia del paese, è perdersi tra i sentieri del monte Volturino lasciandosi guidare dai colori della natura. La natura abbraccia il piccolo borgo con una dolcezza aspra, boschi, sentieri, torrenti limpidi, l’aria sa di resina e di pane appena sfornato e se chiudi gli occhi puoi sentire ancora il suono lontano della zampogna o il rintocco delle campane che segnano le ore. Sulla sommità del borgo si possono ammirare i resti del Castello medievale, la torre e le antiche porte della fortezza (XI sec.); degni di nota anche i palazzi nobiliari: Palazzo Piccininni con il suo portale blasonato, il loggiato e i giardini privati, Palazzo Ziella e Palazzo Tranchitella, splendidi esempi di architettura signorile. Non mancano le Chiese da visitare come la Chiesa Madre dedicata ai Santi Pietro e Paolo in stile barocco napoletano con straordinarie opere d’arte interne,e nei dintorni i ruderi del Convento di Santa Maria di Costantinopoli, l’eremo di Santa Maria dell’Aspro, dove la pace e il silenzio sono un abbraccio sacro, il Santuario della Madonna Assunta sul Volturino, visitabile da fine maggio al 15 di agosto, festa dell’Assunta e giorno in cui si tiene la Sagra del Prosciutto di Marsicovetere, prodotto principe di questa comunità, definito il “San Daniele del sud” e presidio Slow Food. Nel 2006, nella vicina frazione di Barriccelle, è stata scoperta una villa romana, un complesso rurale risalente al II sec. a.C. – VII d. C. .

A pochi chilometri, Marsico Nuovo, antico borgo medievale, è un intreccio di storia, arte e natura. Passeggiando tra i suoi vicoli si respirano secoli di storia e si scopre una comunità accogliente e fiera delle proprie radici. Il borgo antico (la “Civita”) è caratterizzata da stradine lastricate, gradinate, scorci improvvisi e atmosfere medievali. Le chiese barocche, i palazzi nobiliari, i vicoli che sembrano custodire segreti d’altri tempi, le sei porte di accesso al centro storico raccontano di epoche longobarde e la vita cittadina di un borgo vivo sin dall’epoca preromana che fu sede vescovile e centro culturale e che oggi sorprende per la sua vivacità silenziosa. Il turismo lento qui è quasi meditativo, si respira tra le navate della Concattedrale di San Giorgio, si assapora nei prodotti tipici offerti con orgoglio da mani sapienti. Marsico Nuovo, con la sua imponenza discreta, è un libro aperto sulla storia della Lucania. Fondato in epoca Longobarda, ha attraversato secoli di guerre, domini e rinascite. Il duomo di San Giorgio, con la sua facciata sobria e solenne, custodisce segreti di arte e di fede, mentre dai belvedere lo sguardo si perde su verdi vallate. Marsico Nuovo non è solo un luogo, è il sorriso di un anziano che racconta la transumanza come fosse ieri, è una madre che prepara un piatto come faceva la sua nonna, è un bambino che gioca tra i vicoli respirando l’eco di una storia antica. Il Castello baronale domina il paese dall’alto, i suoi palazzi, Pignatelli e Navarra, mostrano portali eleganti, cortili affrescati e una grande poliedricità architettonica. La Cattedrale di San Giorgio, del XII secolo, con portale cinquecentesco, è un luogo carico di sacralità e rinascita, la Chiesa di San Gianuario, patrono del borgo, e il santuario di Santa Maria di Costantinopoli completano il quadro spirituale. Per chi ama la natura avventurarsi nella Grotta di Castel di Lepre per esplorare un mondo sotterraneo di salti d’acqua e atmosfere fiabesche offre esperienze uniche, come anche immergersi nel bosco di Fontana delle Brecce, tra sentieri, cascate e attività all’aperto: trekking, nordic walking, sci di fondo, arrampicata, birdwatching.

Marsicovetere e Marsico Nuovo sono diversi, ma si guardano come due fratelli separati dal tempo ma non dalla distanza. Entrambi portano dentro la verità più profonda del Sud, quella di chi ha imparato a resistere, a custodire, ad amare. I sentieri escursionistici che li collegano diventano metafora di un ritorno all’essenziale, camminare in questi luoghi è ascoltare il proprio respiro, riconnettersi con la terra e con ciò che conta davvero. Il turismo lento qui non è un lusso ma è riscoprire la bellezza del piccolo, dell’incontro autentico, del tempo che si fa dono. Qui c’è un ritorno alle origini, un richiamo che parte dal cuore e arriva all’anima. Chi arriva in questi borghi spesso parte con il cuore più leggero e lo zaino carico di emozioni, e una volta lasciati continuano a camminarti dentro come un ricordo che profuma di casa.

Agnese Rubino

 

Foto nel testo:

Comune di Marsicovetere, il castello

Comune di Marsico Nuovo visto da palazzo Manzoni, foto di Bruno Patierno

Categorie: Altri blog

TRA ACQUA, ARTE E MEMORIA: L’ANTICO LAVATOIO E LA CAPPELLA DELLA MADONNA DI ARSIENI A MOLITERNO

CuoreBasilicata - Lun, 06/30/2025 - 21:47

È stato da poco riconsegnato alla comunità, dopo un lungo lavoro di restauro, l’antico lavatoio pubblico di contrada Arsieni a Moliterno. Nascosto tra le pieghe di una valle verdeggiante, il lavatoio non è solo una struttura in pietra, è una porta aperta nella memoria collettiva, un luogo che ancor oggi custodisce l’anima di una comunità antica. Immagina di camminare lungo un sentiero di campagna, accompagnato solo dal fruscio leggero del vento tra le foglie e dal suono dell’acqua che scorre, un percorso ideale per chi sceglie il turismo lento, una forma di viaggio che privilegia l’incontro, l’ascolto e la connessione profonda con il territorio. Una passeggiata nella contrada di Arsieni, non lontano dal centro abitato del borgo di Moliterno, ripercorrendo quello che un tempo era il “Sentiero delle lavandaie”, ti conduce dolcemente fino all’antico lavatoio in pietra e alla vicina cappella rurale dedicata alla Madonna. Un tempo qui si lavavano i panni con sapone fatto in casa e si condividevano storie, racconti, dolori, speranze. Le donne del paese si radunavano al lavatoio non solo per il bucato ma per sostenersi a vicenda, le risate, i canti, le confidenze mormorate tra uno strizzare e l’altro trasformavano quel luogo in un’eco della vita. Oggi che le mani non sfregano più le stoffe nell’acqua, quello spazio non ha perso la sua voce. La conserva nelle pietre levigate, in quella umidità che profuma di terra viva. E che si ferma ad ascoltare riesce ancora a sentire il battito profondo di un tempo antico e profondo. Raggiungere il lavatoio è semplice per chi ama camminare, bastano scarpe comode, uno zaino leggero e tanta voglia di ascoltare.
Scriveva Valinoti Latorraca nella sua “Monografia storica della città di Moliterno” «La fontana di Arsieni trovai sulla via omonima che mena a Lauria, dal lato sud del paese, alla quota di metri 708, ed a circa centoventi metri sotto il piano della Piazza dell’abitato […] La fontana di Arsieni eroga acqua abbondante e fredda, ma alquanto dura ed indigeribile per l’eccedente quantità di Sali che contiene […] Se la fontana di Arsieni venisse ben garantita, potrebbe annoverarsi, per la sua importanza, tra le principali della Provincia. Questa fontana fu sistemata ad edicola nel 1619, e poscia, nel 1750, travolta da un tifone che cagionò la caduta di diverse case rurali, alberi e ponti, tra i quali quello antichissimo sul fiume Maglia, venne rifatta definitivamente allo stato attuale nel 1875».
Con gli anni aveva perso parte della sua originaria bellezza, ma oggi si mostra di nuovo nel suo antico splendore, con l’acqua sorgente che scorre ancora come una volta, fresca e cristallina, e vi si può ammirare anche uno dei rari stemmi in pietra del paese.

Lo stemma raffigura una torre merlata e due torri più piccole con un leone rampante, posizionato sulla torre centrale, sormontato da una corona simbolo del potere imperiale. Fu rinvenuto in una raffigurazione impressa in fondo ad una pagina di scrittura del 1567 ed è simile ad altri cinque ritrovati: uno sul fonte battesimale della Chiesa Madre che porta la data del 1617, uno riportato sulla porta del teatro diruto, un altro apposto sulla facciata della cappella di San Rocco, che probabilmente in passato sormontava la “Porta Lombarda” una delle porte di ingresso del paese che si trovava nei pressi di questa cappella, un altro inciso sulla nicchia della statua di San Domenico di Guzman nella chiesa del Rosario e questo posto sul lavatoio di Arsieni.

 

Quello di Arsierni è un sito di grande interesse storico-culturale non solo per la presenza del lavatoio in pietra ma anche per la presenza della Cappella dedicata alla Presentazione di Maria al tempio (festa che ricorre il 21 novembre). Questa chiesa fu edificata su di un’antica edicola pre-esistente, per Valinoti Latorraca si trattava di un antico luogo di culto pagano come è testimoniato dal capitello corinzio capovolto che funge da acquasantiera. L’attuale costruzione risale al 1583, affrescata dal pittore locale Evangelista De Pirro. Nel 1916 la chiesa subì un restauro in cui l’antico altare fu rivestito di pannelli di marmo, le pareti furono tinteggiate di bianco e gli affreschi laterali ricoperti di calce bianca. Il terremoto del 1980 la rese inagibile, restaurata poi a cura della Soprintendenza, è stata riaperta al culto nel 1995.  Il soffitto in legno è incorniciato da una ghirlanda di foglie con al centro un ovale che raffigura la Madonna col Bambino e risale alla prima metà del XVIII secolo.

Al centro dell’abside, in una nicchia, è rappresentata la Madonna seduta con il Bambino benedicente sulle ginocchia. Nella parte concava dell’arco dell’arco in alo è raffigurato Dio Eterno Padre, in basso a destra Sant’Antonio da Padova, a sinistra San Francesco d’Assisi; nella parte sinistra dell’altare è dipinto Sant’Antonio Abate, a destra Santa Maria Maddalena e Santa Caterina di Alessandria (XVI – XVII).

Attualmente sono in corso i lavori per il ripristino di uno storico sentiero medievale che dal Castello di Moliterno porta in quella che era l’antica valle di Grumentum, congiungendo il borgo proprio con l’antico lavatoio e la cappella della Madonna di Arsieni. Sarà un cammino da offrire a turisti e residenti, che ripercorre antiche vie medievali tra boschi, selciati e mura secolari.

Visitare questi luoghi significa immergersi nel cuore della memoria locale. Il silenzio che avvolge la cappella, immersa nella natura, invita alla riflessione e alla calma, mentre il lavatoio con la sua architettura semplice e funzionale, rievoca gesti antichi e ritmi dimenticati. Il turismo lento assume qui un significato concreto: camminare senza fretta, osservare con attenzione, lasciarsi guidare dai suoni della natura e dal fluire dell’acqua. È un’esperienza che arricchisce, che permette di entrare in sintonia con il territorio e la sua storia, riscoprendo il valore di una dimensione più autentica e profonda del viaggiare.

Agnese Rubino

Foto :  Marianna Spina

Wikipedia

 

Categorie: Altri blog

Lungomare Federico II, il cuore del mare e della movida estiva a Gela

Gela Le Radici del Futuro - Gio, 06/26/2025 - 11:38

Il lungo mare di Gela si estende per un lungo tratto sulla costa. Ampio e spazioso, con altissime palme, costeggiato da numerosi lidi e da una sabbia finissima e dorata è il luogo ideale per svolgere attività sportive come skate, jogging, ma soprattutto per fare rilassanti e romantiche passeggiate, dove poter ammirare uno tra i momenti più esclusivi ed amati dagli stessi gelesi: il mare al tramonto da immortalare con un selfie.

Avrete la possibilità di fermarvi a prendere un buon gelato, pezzi di rosticceria o fare tappa in uno dei ristoranti con vista mare per dei ricchi aperitivi o cene a base di pesce.

Le sere d’estate potete farvi travolgere dalla movida gelese.

I molti lidi che la mattina ospitano i bagnanti con tutte le comodità e i servizi si trasformano in vere piste da ballo con musica fino a notte fonda o serate a tema: karaoke, musica italiana, serate di ballo latino, discoteca.

 

L'articolo Lungomare Federico II, il cuore del mare e della movida estiva a Gela proviene da Gela Le radici del Futuro.

Categorie: Altri blog