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Ma che bello fare cose impossibili


 
È parecchio che mi chiedo perché i progressisti non funzionino molto bene.
È indubbio che la coscienza, ecologista, solidale e pacifica si sta diffondendo, e cresce pure il numero delle persone che si impegnano quotidianamente per migliorare un granello di mondo.
Ma con 500mila associazioni solidali e centinaia di milioni di volontari per la libertà e la giustizia dovremmo concludere un po’ di più.
Si va lenti e a singhiozzi e mo’ c’abbiamo Trump tra i maroni… Che non è un gran successo…
Son decenni che sbatto contro questo interrogativo: perché non riusciamo a fare di più, perché non siamo capaci di fare veramente argine all’orrore delle violenze, delle guerre e della fame.
Avevamo sognato Obama, le primavere arabe… Ora guardiamo le immagini del drone che sorvola Aleppo devastata dall’idiozia criminale umana.
E questo nonostante la nostra capacità di comunicazione grazie a internet sia mille volte più potente di 20 anni fa.
 
Sono arrivato a darmi una risposta, c’ho messo qualche decennio ma credo di essere giunto all’ombelico del problema: la nostra capacità di iniziativa è fiacca perché la cultura dei progressisti è ammalata di un morbo, di un paradigma mentale sbilenco che riguarda esattamente la nostra idea dell’azione stessa.
Mia madre parlava spesso di professionismo e dilettantismo. Una categoria mentale che ho impiegato un po’ a penetrare veramente.
Nel Movimento Progressista Mondiale è maggioritaria una visione dell’impegno sociale parolaia. È un’affermazione dura, sgradevole ma credo proprio che questo sia il centro del problema.
Molte persone arrivano a comprendere la misura dell’orrore che ancora domina questo pianeta. Ma raggiungere la coscienza dell’ingiustizia e del dolore che questo sistema infligge sembra loro già un grande risultato. Quando devono poi decidere cosa FARE concretamente pensano che sia sufficiente PARLARE di questa loro convinzione. Solo pochi si danno l’obiettivo di agire ottenendo dei risultati concreti.
Non hanno il sacro rispetto per quell’atteggiamento pragmatico che è il solo che su questo pianeta garantisce risultati, cioè non hanno un atteggiamento da professionista.
Si discute per ore sulle idee, sui principi, ci si innamora delle idee e dei principi, COME cambiare le cose diventa secondario.
La maggioranza dei progressisti non percepisce neppure la centralità delle questioni di metodo.
Trovo avvilente il pressapochismo che ne discende. La nostra comunicazione risulta debole (e Trump se la gode) proprio perché è il principio che conta, non i fatti.
Prendiamo un tema centrale per i progressisti: la violenza sulle donne. Ma com’è possibile che il 90% dei discorsi che ascolto partano da una balla autolesionista?
Continuo a sentir dire: “La violenza contro le donne ha raggiunto ormai livelli intollerabili!”.
La realtà è che la violenza sulle donne sta costantemente diminuendo proprio grazie a un grandioso cambiamento culturale. Dopo un secolo di lotte femministe la maggioranza della popolazione ha capito che ammazzare le donne, picchiarle, violentarle è disumano e finalmente il problema e un orrore nascosto per millenni è arrivato sulle prime pagine dei giornali.
Perché non si dice che il numero di donne ammazzate sta diminuendo lentamente da decenni? Questo è il fatto reale, comprovato da tutte le statistiche. Non è possibile in nessun modo affermare il contrario. Quel che finalmente sta aumentando esponenzialmente è la coscienza dell’intollerabilità della violenza sulle donne!!! Se questo non fosse successo dovremmo dire che tutto l’impegno di milioni di persone, per decenni non è servito a un cazzo! E questo sarebbe tragico. Ma come fai a pensare di cambiare il mondo e agire concretamente contro la violenza sulle donne se parti dicendo una cosa falsa e contemporaneamente sminuendo il frutto di un enorme impegno collettivo? Parti dandoti la zappa sui piedi, non hai riflettuto, non ti sei studiato il problema, parli per sentito dire. Certo, apparentemente fa più effetto dire “C’è un aumento spaventoso degli omicidi e delle violenze” ma è un modo di fare comunicazione che ha le gambe corte. Questo modo di approcciare il problema parte da un’affermazione che pullula di mancanza di interesse per la realtà, di PROFESSIONISMO.
E alla fine questo modo di procedere è la ragione prima della nostra relativamente bassa capacità di incidere sulla realtà.
Se vogliamo coinvolgere sempre più persone nell’impegno quotidiano contro la violenza di genere dobbiamo partire da premesse solide. E dobbiamo anche andare a fondo dei problemi (vedi: “Lo stupratore è frigido”).
Questo pressapochismo lo troviamo ovunque tra i progressisti, figlio dell’idea bislacca che se hai ragione il fato è con te e vincerai. Abbiamo visto che non è così.
 
Lo stesso pressapochismo lo troviamo su tutti i temi cruciali.
Nell’era di Internet si può ancora sentire gente che dice: “L’Italia possiede l’80% del patrimonio artistico mondiale”. Balle. E basterebbe pensarci un secondo per rendersi conto che è impossibile. Abbiamo grossomodo il 10% del patrimonio artistico mondiale, e già è un’enormità. L’80% è un numero ridicolo. E che credibilità puoi avere se parti da un’affermazione che chiunque si faccia dieci minuti di ricerca sul Web scopre subito che spari numeri a casaccio?
 
Ma questo che sto dicendo è solo la buccia del discorso, tanto per capirsi sul tema che vorrei discutere. Spesso mi trovo a partecipare a conversazioni con bravissimi e buonissimi attivisti progressisti con i quali si arriva presto a una totale incomprensione. Proprio perché è poco diffusa l’idea che in un progetto politico l’obiettivo sia altrettanto importante della strada per raggiungerlo.
Incontro un gruppo di amici che vuole presentare una lista d’opposizione alle elezioni comunali e mi raccontano cose bellissime sull’onestà, l’efficienza, il progresso. Ma una volta che hai vinto le elezioni come fai a raggiungere i tuoi obiettivi?
Su questo ci si limita a due parole e gran sventolamento di bandiere. Mi dispiace ma non ci sto. E pongo il problema di dotarsi innanzi tutto di un bilancio analitico del Comune. Solo che sono proprio pochi quelli che si pongono il problema del bilancio analitico. Lo scontro è tra gli onesti e i ladri. Vero. Ma lo scontro vero, strategico, è tra chi è capace di fare un buon bilancio analitico e chi non è capace.
Il bilancio analitico è ben altra cosa di un bilancio complessivo (che tutti i Comuni possiedono). Il bilancio complessivo non ti dice quanti sono i metri cubi riscaldati e quanto ti costa ogni metro cubo in un anno. E solo se lo sai puoi fare confronti e determinare (prima di vincere le elezioni) l’entità dello spreco, i soldi che puoi risparmiare e i servizi che puoi erogare con quei soldi risparmiati e quindi proporre un programma operativo vero. Il bilancio dei Comuni suddivide le spese per settori (scuola, edilizia, sanità, trasporti, sociale ecc) ma non ti dice quanto spendi globalmente nelle varie tipologie di “prodotti” (auto, carburanti, elettricità, acqua, dipendenti divisi per funzioni, ecc). E se non hai queste informazioni per tipologia di spesa non puoi confrontare le tue spese con quelle di altri Comuni nel mondo quindi non puoi capire dove spendi troppo, quindi non puoi realizzare un programma di ristrutturazione. Essere onesti non basta.
Il problema è che un bilancio analitico costa dei bei soldi. Per un Comune di medie dimensioni siamo oltre i 100mila euro. E non ci sono soldi. E non ci sono i soldi neanche per fare un po’ di formazione vera (professionale) a chi andrà a fare il sindaco o l’assessore. Anche la formazione costa. Grossi problemi. Affrontiamoli in modo pragmatico. Magari riesci a coinvolgere qualche manager e qualche commercialista e realizzare  almeno una ricognizione sul bilancio analitico. Quantomeno prima delle elezioni indichi la rotta. Ma il bilancio analitico DEVE far parte del tuo programma elettorale. DEVE essere al centro della tua campagna elettorale. Anche se è un concetto che nell’immediato è poco comprensibile e ti porta pochi voti. E devi dirlo che solo dei pazzi possono aver amministrato per decenni un comune senza MAI pensare che serve un bilancio analitico per capire cosa stanno facendo.
Sono anni che collaboro a progetti di razionalizzazione delle spese energetiche dei Comuni. Mai una volta che arrivi, chiedi quanto spendono per mq di riscaldamento e loro ti sanno rispondere.
Ma allora di cosa parliamo? Cosa vuol dire amministrare? Essere onesti? No, cari, qui servono idee nuove che ci portino fuori da una terribile crisi economica e culturale.
Tanto per farti rendere conto del livello di follia vigente, in un dibattito televisivo ho chiesto a Giachetti candidato sindaco a Roma per il PD se gli sembrava normale che Rutelli e Veltroni non abbiano dotato Roma di un cazzo di bilancio analitico. Lui mi ha risposto ridendo e dicendomi che ero un ignorante perché il Comune di Roma ha il suo bel bilancio e lo presenta  obbligatoriamente alla Corte dei Conti. E il giornalista che conduceva il dibattito e un altro illustre politologo ospite ridevano con lui guardandomi come se fossi cretino che pensavo che Roma non avesse un bilancio. Cioè non avevano neanche idea di cosa stessi parlando.
 
Ma il discorso sul bilancio analitico è solo un esempio. Discorsi analoghi potremmo farli su tutti i servizi erogati dal Comune, dalla cultura alla promozione dell’economia. Non ci sono analisi della situazione, non ci sono strumenti di misurazione della qualità dei servizi, non ci sono idee strategiche.
Non voglio fare per forza il primo della classe… È che trovo dilettantistico in modo superlativo il fatto che le amministrazioni non si dotino di strumenti per valutare la produttività dei progetti, l’efficacia dell’operato dei dipartimenti, la congruità della ricaduta dei finanziamenti europei. Tutte cose essenziali per il buon governo di un Comune o di una Regione… A livello nazionale poi non ne parliamo. Tutta questa roba non interessa ai governi quanto non interessa ai cittadini… E allora…
 
Ok. Basta con i piagnistei.
La buona notizia è che, oltre a decidere che non voglio più avere a che fare con la politica dei dilettanti, è che dopo 35 anni di sforzi siamo quantomeno arrivati a mettere insieme un’entità di nuovo tipo che risponde alla domanda di professionalità nel settore “Nuovi Mondi da Costruire”.
È una rete internazionale di professionisti. Una rete informale.
Lo sviluppo è stato molto lento, ogni anno le persone che entravano nel nostro “sistema” non erano più di 2 o 3.
Abbiamo condotto grandi campagne vittoriose: il parto dolce, la comicoterapia negli ospedali, la diffusone di idee innovative nel settore del benessere, i pannelli solari, il biodiesel, i riduttori del flusso dell’acqua dei rubinetti, l’illuminazione pubblica a led, il progetto Ecofuturo, il teatro di informazione sanitaria per i paesi in via di sviluppo e numerosi progetti di formazione e assistenza a nuove imprese basati sullo sviluppo delle potenzialità individuali e della passione… E quello che abbiamo sperimentato è che se metti al primo posto l’atteggiamento “da professionisti” i risultati arrivano.
Ed è anche più appassionante lavorare con una rete di persone che non perdono tempo a discutere dei massimi sistemi e si concentrano sulla realizzazione di un primo risultato.
Stiamo sperimentando che questa metodologia è potente. Dà grande soddisfazione lavorare con persone che se ti hanno promesso un lavoro entro il 14 marzo poi il 14 marzo o sono morte oppure ti consegnano il lavoro. Ma quel che sta venendo fuori che questo stile di lavoro è talmente potente che diventa l’equivalente di una linea politica. Una programma rivoluzionario basato non su “cosa sarebbe giusto fare” ma su “cosa è possibile fare oggi”. Una metodologia di lavoro che è una filosofia. Ad esempio, sono più di 15 anni che non facciamo una assemblea generale. Questo perché abbiamo scoperto che l’assemblea non va bene per lavorare insieme. In assemblea spuntano leader e contro leader, si creano fazioni e si alimentano le chiacchiere e la sete di protagonismo. E poi molti in assemblea non parlano. Quindi si tratta di uno strumento bello in teoria ma limitante in pratica. Noi seguiamo un altro metodo molto più democratico: quando hai un progetto ne parli con tutte le persone che sono utili per realizzarlo, personalmente. Il dialogo a due permette di sviscerare i problemi, di fare emergere le incertezze, di chiarire le intenzioni. Quando hai trovato le persone interessate e hai raggiunto un buon livello di condivisione, si inizia a lavorare e si discute solo delle questioni pratiche via via che si presentano.
Può sembrare un discorso assurdo a chi non voglia provare a rovesciare il punto di vista su “obiettivi politici” e “metodo di lavoro”. Che io sappia esiste una sola entità “politica” che ha da tempo sperimentato questa logica. Mi riferisco al movimento delle città in transizione. A questa organizzazione si aderisce solo sulla base di un’esperienza positiva realizzata, non sulla base della condivisione del credo dell’organizzazione. È un salto quantico. Il Transition Town non ha una linea politica o filosofica, ha un libro nel quale sono descritte nel dettaglio tutte le iniziative che hanno portato a un risultato positivo dal punto di vista della transizione dal sistema del petrolio a quello rinnovabile. Qualunque tipologia di azione va bene, la discriminante è unicamente cosa funziona e ci fa fare un passo in avanti. Ecco, noi applichiamo la stessa logica. Solo che oltre a essere professionisti dal punto di vista filosofico siamo un gruppo di persone che ha fatto di questo impegno anche il mestiere che ti dà da vivere. E questo ci ha fin’ora reso possibile un grande impegno in termini di ore di lavoro per ogni singola persona e quindi una notevole capacità di iniziativa.
 
Spero di aver posto con sufficiente chiarezza l’idea che se vogliamo ottenere grandi risultati tocca cambiare priorità.
Come ebbe a dire il Presidente Mao: “Sennò son cazzi amari!”