Storia Proibita dell’America

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Carissimi,
questa settimana vi parliamo di una delle ultime opere del Maestro Dario Fo, Storia Proibita dell’America, scritta con la collaborazione di un sacco di amici: Jacopo Fo, Doris Corsini, Daniela Baldacchino, Dora Grittani Battaglino, Massimo Capotorto, Vania Di Febo, Davide Staunovo Polacco, Claudia Rordorf e Daniela Trenti.
E’ la storia dei Seminole, gli indiani della Florida che non si arresero mai, e vi proponiamo un altro brano di questo fantastico libro che contiene anche 33 disegni di Dario che potete vedere in parte qui
Qui invece potete acquistare il libro

Invincibili Seminole
All’origine questa gente non aveva nulla che assomigliasse alla struttura portante delle tribù guerriere più famose d’America. La particolarità dei Seminole rispetto alle altre comunità non è cosa che si possa spiegare con un’unica frase a effetto. Per scoprire la magia di quella diversità dobbiamo cominciare dalle loro radici più antiche.
La preoccupazione di eliminare dalla storia l’unico popolo che era riuscito a tener testa e perfino a sconfiggere gli invasori, provenienti prima dalla Spagna e poi da gran parte dell’Europa, indusse qualche storico a raccontare che quei pellerossa tanto caparbi alla fine dovettero cedere e, catturati, vennero costretti a traslocare dalla Florida verso
le montagne e a vivere segregati in una riserva dalla quale non uscirono che cadaveri. La menzogna è meschina e stupida, giacché quel popolo esiste e abita ancora la Florida come secoli fa, ed è l’unico stato autonomo che sia riuscito a imporsi a
Washington e a gestire in pace il proprio diritto alla libertà.
A questo proposito, vi offriamo la testimonianza di un nativo di un’altra tribù che ha conosciuto e scoperto, ancora ragazzo, la civiltà di questo popolo originario della Florida. Eccola.
«Mi chiamo Ovan Spaniche, sono un capo Mapuco del popolo degli Apomemao, una delle tribù che nei vari secoli hanno abitato la Florida.
Siamo quelli che dal Cinquecento al Seicento si sono ribellati agli spagnoli e ogni volta li hanno costretti a risalire sulle loro navi e a prendere il largo. L’ultimo tentativo finì in un vero e proprio disastro.
Come le altre volte, provarono a offrirci doni e amicizia. Ma ormai conoscevamo bene la loro pantomima. Fingevamo di non capire una parola di quello che andavano dicendo così che essi, convinti di poter parlare fra di loro senza alcun pericolo, di fatto ci venissero ad annunciare ogni loro intenzione.
Li attaccammo d’anticipo, prima che ci saltassero addosso, sorprendendoli nella notte mentre dormivano tranquilli. Riducemmo tutto a un gran falò, ma le loro navi invece le rispettammo, dopo averle svuotate di tutto ciò che ci interessava, i cannoni, la tela delle vele, le armi, le provviste e l’intero scafo.
Ci rendemmo conto che, capovolgendole, quelle conche diventavano stupende coperture per le nostre case. Le navi erano trenta, da cui trenta nuove abitazioni.
Ah, dimenticavo, ho saputo dai miei nonni, anzi bis e trisnonni, che i più mansueti di loro li avevano salvati, tirandoli fuori dal rogo prima che cuocessero.
Alcuni dei superstiti sapevano leggere e scrivere, nella loro lingua s’intende, il castigliano. Così ci siamo fatti aiutare a mettere giù un nuovo alfabeto, che ci sarebbe servito per scrivere a nostra volta e imparare a leggere le parole della nostra lingua: il mapuco. (...)
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