Miliardi di persone si avvelenano la vita perché, invece di vivere, recitano.

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(La via al cambiamento istantaneo si può aprire accorgendosi che la voce che usiamo in certi momenti è artefatta)

Arte Zen di Eleonora Albanese ad Alcatraz

Eleonora da anni tiene lezioni di Arte Zen, che permettono alle persone di scoprire capacità eccellenti nella pittura.
Molti sono convinti di non essere capaci di dipingere. Ma se disattivano alcuni meccanismi che generano la paura di sbagliare, tutti si scoprono provvisti di un esuberante senso dell’armonia e del colore. E scoprono anche che dipingere dà gusto.
Sono anni che sperimentiamo con centinaia di persone quanto è semplice mollare alcuni condizionamenti e darsi all’arte di scrivere, recitare, ballare.
Fare arte, esprimere armonia e creare stupore, sono capacità innate. Tutti sanno raccontare a un amico un fatto che ha provocato emozione. Ma quando ci si trova di fronte a un pubblico pare impossibile fare la stessa cosa.
I corsi di Yoga Demenziale e i laboratori artistici di Alcatraz sono sostanzialmente percorsi che permettono alle persone di scoprire capacità e conoscenze istintive che possiamo rendere disponibili subito e senza grande fatica. Basta creare un’atmosfera di gioco e vien fuori che sei capace di fare quel che pensavi di non saper fare.
Ultimamente Eleonora è riuscita a realizzare un salto di qualità nelle sue lezioni. Prima di proporre alle persone di iniziare a dipingere chiede che tutti, uno per volta, si mettano di fronte a lei e si presentino definendosi artisti: “Piacere, sono Giovanni e sono un artista!”
Può sembrare un’azione puerile e con poco senso, ma quel che succede è straordinario. Nel momento in cui una persona, di fronte a decine di altre, si trova a presentarsi definendosi “artista”, scatta qualche cosa nella sua testa: si sente artista!
Le parole hanno un potere immenso quando le pensiamo ma ancor di più ce l’hanno quando le pronunciamo ad alta voce. Anche se ognuno sa che è solo un gioco, non può fare a meno di provare a sentire come ci si sente a essere un artista. Se ti dico: “Andiamo al mare e ci buttiamo nell’acqua fresca!” tu non riesci a impedire che il tuo cervello produca l’immagine mentale del mare e la sensazione del fresco sulla pelle. È un meccanismo di una potenza assoluta; anche se vuoi impedire che immagini e sensazioni si proiettino nella tua mente, non ci riesci.
Ugualmente se dico: “Io sono un artista!” per forza mi sento un po’ artista.
E le persone si divertono a pronunciare questa affermazione. È una situazione infantilmente comica e le persone giocano spontaneamente a inventare un tono di voce, un’espressione del viso, un ammiccamento del corpo, che dia spessore evocativo alle parole. Ci si chiede inconsciamente: “Come si presenta un artista? Come stringe la mano? Come si atteggia con il corpo? Come trasmette il suo essere ARTISTA?”. E istantaneamente ognuno trova la sua risposta a queste domande e si trova a scegliere un registro, un tono, rappresentando la sua idea dell’essere artista.
Siamo superlativi nella capacità di ATTEGGIARCI. Siamo bravissimi a inventarci una parte e interpretarla.
Ed è incredibile il potere che ha su di noi la parte che interpretiamo. A questo proposito cito il grande Dalì. Un giorno un giornalista gli chiese: “Quando ha capito di essere un genio?” E Dalì rispose: “Quando ho iniziato a dire che ero un genio!”

È stato sufficiente che Eleonora proponesse questo gioco del “io sono un artista” per ottenere una serie di cambiamenti a catena.
Prima che Eleonora inventasse questa piccola sceneggiata le persone mentre dipingevano, le rivolgevano moltissime domande: “Come mischio i colori? Va bene se qui metto un giallo? Quanta acqua ci vuole nel pennello?”
Invece le persone che hanno dichiarato: “Io sono un artista!” Quando iniziano a dipingere non chiedono più nessun consiglio tecnico. “Sono un artista e l’artista fa quel che gli viene in mente! Per questo è un artista!”

Eh già! L’artista nella nostra società è proprio questo. Ogni professione genera un modo di essere delle persone. Se pensiamo a un avvocato, a un muratore, a un medico, a un contadino, subito ci vengono in mente modi di essere più o meno composti, controllati, affettati. Il ruolo sociale evoca un certo modo di comportarsi, di parlare, di ragionare. Non possiamo immaginare un Papa che ride sguaiatamente, un chirurgo che salta sul tavolo e balla il tip tap, un giudice che scoreggia a trombetta.
L’artista invece è uno imprevedibile, proprio perché è un artista, si pone al di fuori delle convenzioni comportamentali. Fa quel che gli pare e trae addirittura guadagno dalla sua capacità di sorprendere, di fare qualche cosa di nuovo. Quindi tolleriamo da un artista comportamenti che sarebbero disdicevoli per altre categorie professionali. Un idraulico che fa il buffone sarà capace di aggiustarmi la caldaia?
Quando siamo al lavoro, in famiglia, con gli amici, quante energie spendiamo nel comportarci secondo certi schemi? Nell’aderire all’idea che abbiamo di quel ruolo?
E come è stato possibile insegnarci a comportarci in un certo modo a seconda delle situazioni?
Sicuramente è un processo lungo e complesso insegnare a
una scimmietta maleducata il comportarsi da persona civile. Genitori, parenti, vicini di casa e insegnanti si sono impegnati parecchio in un martellamento costante che è durato decenni. Non è stato facile insegnarci a non farci la pipì addosso, non buttare giù gli oggetti dai tavoli, non infilarci le dita nel naso in pubblico. Migliaia di volte ci è stato ripetuto di non urlare, non correre, non toccare le parti intime nostre e altrui, non piangere, non ridere, non disturbare.
Saluta!
Siediti!
Taci!
Stai immobile!
Fai i compiti!
Pulisciti il naso!
Perché non si fa!

Centinaia di ordini impartiti quotidianamente, ogni ora, un bombardamento di imposizioni, minacce, blandizie, ricatti, premi.
Attraverso questo mitragliamento e osservando il comportamento degli adulti e delle persone di successo siamo riusciti a compiere un’azione di enorme complessità: abbiamo interiorizzato inconsciamente una serie di modelli di comportamento.
Infatti, nel processo educativo non esistono momenti in cui ci viene descritto per filo e per segno come ci dobbiamo comportare, come dobbiamo reagire, come dobbiamo interpretare il nostro ruolo sociale… A chi dobbiamo dare del tu o del lei. Fin da bambini gli umani dimostrano una spiccata capacità di estrarre regole generali e particolari direttamente da un insieme di esperienze. E questo processo crea una specie di Pietra di Paragone comportamentale che diventa il fulcro delle nostre scelte e dei nostri giudizi e lo strumento per decidere quale carattere dare al nostro comportamento nelle diverse situazioni. E riusciamo a scegliere cosa è appropriato e cosa no nel tempo di un battito di ciglia, senza neppure rendercene conto. È un processo inconscio.
E difficilmente poi, da adulti, ci troviamo a riflettere su questi processi inconsci che utilizziamo per governare il nostro comportamento e giudicare quello degli altri.
Quando incontriamo una persona per la prima volta non ci accorgiamo neppure di sottoporla a un’analisi più profonda e articolata di una Tac. Osservando le sue azioni, il suo modo di parlare, di vestire, di guardare, giudichiamo se questa persona rientra nei canoni di comportamento sociale ammesso o è un deviante. Ci mette subito in allarme una persona che si avvicina troppo quando ti parla, che gesticola troppo, che non segue un filo logico coerente nel discorso… Sono decine, centinaia, i segnali che interpretiamo, sommiamo e sottraiamo e dopo un istante ci arrivano le somme, realizzate da un ufficio contabilità nascosto in  aree misteriose della nostra coscienza. E istantaneamente altre zone altrettanto sconosciute di noi stessi ci forniscono schemi di comportamento da adottare in quella precisa situazione, visto l’incasellamento scelto per quel nuovo interlocutore. Ovviamente in questo processo ha anche un grande peso un altro sistema di giudizio, più animale, che riguarda le sensazioni di pelle, empatiche, che istintivamente una persona genera in noi. Ma questo livello emotivo è strettamente connesso con la sensazione che ci dà la capacità di quella persona di aderire a un registro comportamentale socialmente efficiente e rispettoso del Sistema Relazionale Vigente.

Ma questo lavorìo sottintende una grande ansia da prestazione ed è la fonte della paura di non essere all’altezza. Viviamo sotto la costante minaccia costituita dalla possibilità che la nostra anima spontanea ci faccia fare brutta figura. Siamo spesso in ansia perché abbiamo paura che il nostro comportamento provochi la disapprovazione degli altri. Una parte di noi stessi continua per tutta la vita a sentirsi una creatura di pochi anni ancora esposta al fuoco di fila dei rimbrotti dovuti a comportamenti disapprovati dalla collettività.
È una molla potente della nostra vita.
Ed è un meccanismo che dovremmo mettere in discussione: quanta energia mi costa impegnarmi a essere come ci si aspetta che io sia?
E mi conviene investire così la mia capacità di sforzo e attenzione?
La mia risposta è che il bailamme di ruoli non conviene. È uno spreco e soprattutto una limitazione.
Mi porta all’abitudine a vedere me stesso secondo schemi prefissati, mi impedisce di sperimentare nuovi approcci e nuove parole.
Se negli incontri con altri esseri umani scelgo sempre di adeguarmi a un codice che tutti riconoscono subito come corretto, ne consegue che le persone conoscono già la sostanza di quello che dirò ancor prima di ascoltarmi. Essere secondo gli schemi mi rende prevedibile e quindi mi rende banale agli occhi degli altri proprio perché rinuncio a fare quel che mi viene in mente ma è fuori dagli schemi.

Vivere in diretta è meglio?
Credo di aver fin qui descritto una serie di meccanismi semplici e spero che converrai su questa panoramica della situazione.
A questo punto vorrei proporti un salto logico che spero ti dia una sensazione di ebbrezza. Siamo arrivati al colpo di scena.
Quanto peso ha nella nostra vita e nelle nostre scelte questa pulsione indotta ad atteggiarsi in questo o quel ruolo?
Quanto è difficile smetterla?
La notizia bomba che vorrei darti con questo scritto è che liberarsi da questa coazione a seguire gli schemi è semplice, istantaneo e richiede pochissimo sforzo.
Se riusciamo a renderci conto dell’enormità di questo meccanismo, lo guardiamo, lo osserviamo, provochiamo un enorme cambiamento a basso costo.
Se ti rendi conto della quantità di energie che impieghi nel decodificare la struttura delle relazioni sociali che stai abitando, questo Sistema Relazionale Vigente evapora, non te ne frega più niente. Il potere che questo Sistema ha su di noi nasce proprio dal non essere un procedimento conscio. Se lo porti alla superficie e lo identifichi perde presa su di te: inizi a chiederti: “Ma perché devo essere in questo modo in questo momento? Perché devo incasellare il mio comportamento in regole che mi sono state imposte manipolando la mia volontà quando ero piccolo e indifeso? Mi conviene veramente aderire a questo gioco di ruoli? Ne traggo vantaggio?”

Sono arrivato alla conclusione che questo settore della nostra esperienza nasconda la madre di tutti i problemi.
L’esperimento proposto da Eleonora ci permette di leggere la reale situazione nella quale viviamo.
Mi basta affermare teatralmente di fronte a un pubblico (e grazie all’emozione che questo pubblico mi provoca) la mia identità artista per sentirmi diverso, avere più fiducia in quel che faccio e in quel che sono. Mi sento veramente diverso se gioco ad atteggiarmi alla Picasso, poi dipingo veramente meglio e non ho bisogno di essere consigliato o aiutato. Anzi fare da me mi dà soddisfazione e piacere.

Cambia tutto se nelle cose di ogni giorno inizi a chiederti: “Questa faccia la sto facendo perché mi corrisponde o è una faccia di circostanza? Queste parole le sto dicendo perché mi piace dirle o perché una zona misteriosa della mia mente è convinta che siano le parole da dire in questo caso? E questo gesto è mio o è un tentativo di migliorare la mia credibilità sociale?”

Ovviamente questo lavoro di resettazione comportamentale ha bisogno prima di una decisione epocale. Si tratta di decidere se è più conveniente seguire la propria natura oppure imbrigliarla in schemi generalmente giudicati socialmente utili.

Che fatica piacere alla gente a tutti i costi
Il mio discorso parte dall’idea che questi schemi comportamentali rigidi siano un disastro dal punto di vista pratico.
Ovviamente comportarsi secondo schemi abituali semplifica alcune situazioni. Ma atteggiandosi in questo modo preconfezionato innanzi tutto provoca una sorta di anestesia creativa. Se ogni volta che siamo in un diverso contesto ci lasciamo andare a reinventarci a seconda delle sensazioni e delle emozioni che sperimentiamo facciamo fare ginnastica alla nostra fantasia. Se invece ricorriamo a sequenze di gesti e parole preconfezionati ci attuffiamo mentalmente, viaggiando verso l’arteriosclerosi comportamentale.
Inventarsi sul momento cosa dire e che faccia fare, senza seguire schemi ma abbandonandoci alla nostra spontaneità è anche emozionante; proprio perché facendo quel che ci viene in mente rinunciamo a proporre azioni e parole che essendo previste danno anche risultati prevedibili, quindi non emozionanti. Perciò quando siamo spontanei sperimentiamo più emozioni e le emozioni sono piene di sensazioni e le sensazioni spengono il cervello paranoico e ci inondano di energia. Le persone che vivono in diretta piuttosto che in differita, che guardano quel che capita con i loro occhi invece di vederlo nel videocitofono, hanno una marcia in più perché fanno lavorare la mente in modo positivo. Ma il vantaggio maggiore sta nel fatto che se vivo in diretta, senza tener conto degli schemi banali, vivo di più. Non nel senso della durata della vita ma della sua intensità. Se sono qui, io, ti parlo, ti ascolto, sento le sensazioni che mi dai, la mia vita non viene giù a gocce, è una cascata che mi bagna tutto. Mi vivo il momento proprio perché la mia mente è impegnata a vivere invece che darsi da fare ossessivamente per capire quali sono le parole più corrispondenti in ogni momento ai dettami del Sistema Relazionale Vigente.
Infine mi sento libero. Appena mandi a fanculo il ciarpame delle regoline, dei sistemini, delle frasette a effetto, delle faccette piacione, è come se ti togliessi una pietra dalla testa. Una pietra che non ti rendevi neppure conto di quanto pesasse tanto era l’abitudine a portarla dentro.
Libertà e leggerezza!
E' un’ansia da prestazione che finalmente se ne va via. Lontano, in territori dei quali non te ne potrebbe fregar di meno.
E se sono più libero, più energetico, più presente alla mia vita, se me la vivo in diretta, e faccio fare ginnastica alla mia fantasia, le persone lo sentono. Vivere in diretta è affascinante, ti dà quella sfumatura ribelle che affascina perché a pelle le persone lo sentono se sono io che parlo o se sto interpretando un altro. E se io non ho il coraggio di mostrarmi veramente le persone hanno la sensazione che io non valga un gran che. Se neanche tu credi che valga la pena di mostrarsi vuol dire che c’è qualche cosa di avariato in te… E se tu ti fai schifo pure a te perché dovresti piacere a me?
Se invece tu sei presente, lì, nella tua vita, e interpreti semplicemente quel che sei in quel preciso momento, allora vuol dire che ti piaci, ti accetti, ti vuoi bene. Ci sei, vali e ti mostri. È un tipo di comportamento che scatena interesse e curiosità che sono alla base del successo sociale.
E anche di fronte ai grandi problemi della vita e pure sul lavoro questo uso della mente rivolto verso la concretezza del momento presente fornisce strepitosi vantaggi. Se non sei impegnato a comportarti come pensi che ci si aspetti da te, hai più energia e spazio mentale per capire bene in che situazione ti trovi, quali sono le possibilità di azione e quali sono le persone con le quali puoi cooperare. E riesci pure ad avere più attenzione per i particolari minuti, proprio perché mentre li guardi non sei distratto dall’attenzione ad avere un tono di voce consono alle supposte aspettative sociali.

A questo punto ti resta solo da decidere se questo discorso ha senso o no. E nel caso ti sembri di investire troppe energie nell’adesione ai modelli comportamentali automatici potresti osservarli alla prima occasione e notare che sono fastidiosi e quindi abbandonarli.
Se ti rendi conto che sono fastidiosi poi ci fai caso e non li sopporti più (quando senti quella voce lì ti dà proprio fastidio) e rapidamente scompare la pulsione a ripeterli. Anche perché, se sperimenti lo Stile Libero, ti dà talmente soddisfazione che poi non ci rinunci più. Ne consegue un flusso inarrestabile di mutazioni morbide.
Se apri la porta alla tua vita, una volta, poi non la chiudi più.