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Cacao Resistenza e Informazione Alternativa: Alfredo Gasponi

Carissimi questa settimana ci occupiamo di una questione di cui pochi parlano e che puo' sembrare marginale o riguardante solo una persona, ma ci sembra importante mettervi a conoscenza di questo fatto in quanto risponde a quanti affermano che la questione della censura, delle corporazioni intoccabili, piu' semplicemente dell'informazione in Italia non esiste, o riguarda solo quei giornalisti come Travaglio, Gomez, Santoro che sono sempre li' a rompere le scatole...
Qui raccontiamo la storia di Alfredo Gasponi, giornalista collaboratore (articolo 2) del Messaggero che si occupa da anni di critica musicale e che ha solo avuto la sfortuna di avere imposto dalla redazione del quotidiano un titolo che l'ha messo nei guai, una storia assurda che colpisce una persona che ha sempre fatto onestamente il suo lavoro e che con una condanna al pagamento di 500mila euro si trova ad aver pignorata la casa.
La storia la lasciamo raccontare a Dario della Porta, professore di storia ed estetica musicale al Conservatorio dell'Aquila.

La storia di Gasponi fa il paio con un'altra raccontata in questi giorni su Cacao: quella riguardante il sindaco di Camigliano (CE) Vincenzo Cenname. Per leggere l'articolo clicca qui

Gasponi, la giustizia e lo Zen
Antefatto: Alfredo Gasponi e' un critico musicale del quotidiano il Messaggero condannato da un Tribunale a pagare un risarcimento di 500.000 euro a favore dei musicisti dell'orchestra Santa Cecilia (e 2.500.000 euro il Messaggero) in quanto lesi nell'onore dal titolo dell'articolo pubblicato nel 1996 che sintetizzava un parere critico di W. Sawallisch sui musicisti della prestigiosa orchestra.
L'oggetto della denuncia (come si legge nell'articolo qui sotto) e' soprattutto legato ai titoli considerati diffamatori dall'Accademia di Santa Cecilia. Titoli e sottotitoli di cui non e' autore Gasponi.

Articolo Alfredo Gasponi

Ho esaminato il testo delle due sentenze - in primo grado e in appello - che condannano il critico musicale del “Messaggero” Alfredo Gasponi a pagare mezzo milione di euro all'orchestra di S. Cecilia per aver intervistato un illustre direttore d'orchestra, Wolfgang Sawallisch, e aver riportato alcune opinioni del Maestro sull'orchestra stessa. Le stesse sentenze erano state distribuite ai giornalisti intervenuti alla conferenza presso l'Associazione Stampa Romana il 6 aprile scorso, riunita  allo scopo di discutere questo grave caso; per cui, molti passaggi importanti del testo mi erano gia' noti in quanto gia' stati citati in diversi articoli pubblicati su questa vicenda. La quale e' semplicemente kafkiana. Luogo comune, lo so, ma bisogna rassegnarsi ai luoghi comuni quando questi sono i piu' atti a esprimere la realta'. La vicenda e' lontana - inizia nel 1996 - ma ora e' giunta a un nodo preoccupante e cruciale. La lettura integrale ha confermato l'idea che mi ero gia' fatta sulla questione, che vorrei qui approfondire. L'interpretazione avverra' a lume di buon senso: non sono un giurista. Premesso che sia l'articolo incriminato - una intervista, per l'esattezza - che una lettera di Sawallisch, la quale totalmente discolpa Gasponi, sono pubblicati in facsimile nella pagina di Facebook “Solidarieta' ad Alfredo Gasponi” (http://www.facebook.com/group.php?gid=112023232151747), vediamo come le sentenze le hanno interpretate.

La prima cosa da dire e' ormai arcinota: Gasponi e' si' l'autore dell'intervista a Wolfgang Sawallisch, ma non del titolo di essa (“Sawallisch, allegro non troppo”), ne' del sottotitolo (“Il Maestro: l'orchestra di S. Cecilia non e' all'altezza del suo ruolo”) e men che meno del titolo di richiamo in prima pagina, quel fatale “A S. Cecilia non sanno suonare”, pensiero che Sawallisch non ha mai espresso in questi rozzi termini, e che infatti non compare nell'intervista interna. Gasponi e' da decenni legato al “Messaggero” da un tipo di contratto di collaborazione esterna, detto Articolo 2, che per la sua stessa tipologia lo tiene lontano dalla creazione dei titoli e da tutto cio' che riguarda il cosiddetto desk, che e' compito dei redattori; nel caso poi della prima pagina, di redattori d'alto rango.

Cio' nonostante, i titoli sono la vera pietra dello scandalo, in questo caso. Gli orchestrali stessi lamentavano che “dal tenore dei titoli e dei sottotitoli appariva che la critica, del tutto generica, si dovesse riferire proprio ai professori di musica rientranti nella pianta stabile dell'orchestra”. La, critica, pero', generica o specifica che sia stata, veniva da Sawallisch, e non da Gasponi che l'ha solo riportata. E i presunti offesi pretendono di desumerla “dal tenore di titoli e sottotitoli”, a quanto pare, e non dal testo. Meno male che la sentenza denota una visione meno ristretta, poiche' afferma: “Nella valutazione degli articoli occorre procedere a un esame globale, tenendo conto non solo delle singole espressioni letterali usate ma anche del complesso dell'informazione, rappresentato dal testo, dal titolo e dalle immagini e dal modo di presentazione e piu' in generale del linguaggio usato dall'autore”. Solo che tale valutazione globale finisce per accusare, incredibilmente, il giornalista. Vediamo come: la sentenza di primo grado (confermata in appello) recita: “in ordine al tenore dell'articolo deve rilevarsi la falsita' del contenuto specifico del titolo e del sottotitolo”. Giusto. In effetti il titolo, quello di prima pagina, e' certamente censurabile: eccessivo, molto forzato, un commentaccio da foyer, su questo sono stati tutti d'accordo. Una recente sentenza della Corte di Strasburgo ammetterebbe anche i titoli forzati; il che ci riguarderebbe se in questo caso Gasponi fosse l'autore dei titoli, ma non lo e', e come si e' detto, neppure poteva esserlo.

Andiamo avanti con le sentenze, che ora hanno doppiato il periglioso capo dei titoli e sottotitoli e navigano attraverso la valutazione globale: “Come rilevato dalla Suprema Corte, il giornalista ha l'obbligo di controllare la verita' della notizia, non potendosi 'supinamente' adagiare a riferimenti a dichiarazioni di terzi e a notizie riportate da altre fonti”. Belle e giuste parole, ma non vedo il nesso col caso in questione. Terzi? Quali terzi? Quali altre fonti? La fonte di Gasponi e' Sawallisch, parleranno mica di lui? Si direbbe che qui si stia trattando di chiacchiere di pianerottolo, di pettegolezzi orecchiati mentre si sta dal barbiere e poi riportati con finalita' maliziose. Invece si tratta una normale intervista rilasciata da uno dei massimi direttori d'orchestra viventi a un giornalista di un quotidiano di ampia diffusione: una intervista di cui esiste il nastro magnetico registrato, e a proposito della quale il Maestro stesso ha dichiarato che riportava senza travisamenti le sue parole e il suo pensiero, e che l'intervistatore “ha scritto la verita'” (sic). Sawallisch  ha affermato questo in una lettera autografa, scritta nel suo impeccabile italiano, riprodotta nella pagina di Facebook sopra citata,  e che gia' e' stata pubblicata su un quotidiano nello scorso aprile. Dov'e' quindi che Gasponi si sarebbe “supinamente” adagiato? Quali altre fonti avrebbe dovuto controllare, oltre alle parole dell'intervistato, parole che aveva il dovere di riportare? Oltretutto, a voler parlare di “altre fonti”, nella stessa pagina dell'intervista, molto correttamente, Gasponi da' la parola sull'argomento a due membri dell'orchestra e allo stesso presidente di S. Cecilia. 
Sembrerebbe proprio che la  lettera di Sawallisch tagli la testa al toro, unitamente alla non responsabilita' di Gasponi riguardo ai titoli. Eppure, entrambe le questioni sembrano essere state del tutto ignorate, per motivi che non mi so spiegare.

Andiamo avanti col testo della prima sentenza, che cosi' prosegue: “Nel caso e' proprio questo il comportamento tenuto dal compilatore dell'articolo, il quale ha riferito all'orchestra stabile di S. Cecilia appunto quel giudizio che al contrario lo Sawallisch aveva invece riferito alla composizione specifica con gli elementi aggiunti nel corso dei concerti tenuti il 10, 11 e 12 marzo 1996”. Il Maestro dichiara nero su bianco che Gasponi ha riportato fedelmente il suo pensiero, ma qualcuno sembra conoscere meglio di Sawallisch il pensiero di Sawallisch. La sentenza di appello conferma: il Maestro “non aveva stigmatizzato le capacita' dell'intero complesso orchestrale, ma solo quello degli elementi esterni aggiunti di volta in volta per integrarne l'organico”. Come se fossero due complessi diversi, due entita' distinte, insomma. Nell'intervista pero' si legge la seguente frase: “Si tratta di pezzi tecnicamente difficili - spiega Sawallisch - ma un'orchestra come quella di S. Cecilia dovrebbe eseguirli senza troppi problemi. Purtroppo cosi' non e'”. Il Maestro quindi parla di  “un'orchestra”: non de “gli aggiunti di un'orchestra”. E' questa, del resto, una esemplificazione molto ben fondata, oltre che di uso comunissimo: se la tale squadra di calcio, anche gloriosa,  perde una partita perche' imbottita di riserve di modesto livello, cosa si dira'? Che ha perso la tale squadra, o che hanno perso le riserve? Se la Ferrari perde un Gran Premio per colpa di un componente meccanico difettoso, il dato di fatto sara' che ha perso la Ferrari, o il componente meccanico? E cosi' via. Certo, sara' piu' che doveroso spiegare i motivi della loro modesta performance, ma del resto questo e' stato fatto anche nell'intervista incriminata.

D'altronde, come sa chiunque abbia assistito a qualche concerto sinfonico in vita sua, non e' per nulla facile scindere, fra decine e decine di persone che suonano assieme, l'esito ottenuto dagli aggiunti da quello degli strumentisti in pianta stabile. Tanto piu' se gli aggiunti sono una trentina: nel caso in questione, il quaranta per cento circa dell'intera compagine. Per di piu', bisognerebbe sapere quanti e quali sono gli uni e quali gli altri. L'orchestra, tanto per il direttore nel momento in cui sale sul podio alla prima prova, quanto per il pubblico che ascolta l'esecuzione al concerto, e' un tutto unico. Mi viene  in mente un aneddoto letto molti anni fa in un libro Adelphi, “101 storie Zen”. La storia del giovane Toyo e del suo maestro  Mokurai: “Tu puoi sentire il suono di due mani quando battono l'una contro l'altra” disse Mokurai. “Ora mostrami il suono di una sola mano”. Era questo che veniva richiesto a Sawallisch, o a Gasponi?  Lo Zen e la giustizia, un bell'argomento di riflessione...

Ecco una vera bizzarria: all'interno di una compagine, l'orchestra, che fin dalle sue origini tende alla massima coesione e che anche in base a questa coesione va ed e' giudicata, si pretende che a priori venga distinto questo da quello. Per contro, si vuole che venga  considerato come creazione unitaria con un unico responsabile (fin nell'impaginazione! come si legge nella sentenza di appello) un articolo di giornale che per sua natura (e in qualche caso per legge) e' frutto di mani diverse, che hanno mansioni e responsabilita' diverse.

Frattanto, un corretto professionista  e' in attesa che gli pignorino la casa e il suo contenuto. Per un titolo che non ha scritto, e per aver riportato correttamente le parole di un intervistato. Con tanto di dichiarazione scritta dell'intervistato stesso. Togliamo per un attimo questo episodio dal contesto in cui e' nato, vale a dire quello della cosiddetta “musica classica”. Esaminiamone l'ossatura, che si riduce al seguente schema: il giornalista A intervista il soggetto B, ne riferisce correttamente le dichiarazioni, e viene condannato.
Oggi accade in ambito musicale, e domani?
Ricordiamoci che un precedente e' un precedente, in qualunque ambito avvenga.

Dario della Porta