Giovanni Savino e il Tappeto di Iqbal

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Giovanni Savino e il Tappeto di Iqbal

Carissimi,
questa settimana mi approprio del Cacao del Sabato per tornare a raccontavi di Giovanni Savino, del Tappeto di Iqbal e del suo straordinario lavoro nel quartiere Barra di Napoli.
Abbiamo già parlato dei ragazzi di Barra.
Sono venuti ad Alcatraz e li abbiamo sentiti recitare, cantare, raccontare.
Seguire tutti i progetti di Giovanni e della sua tribù fa girare la testa, non sta fermo un attimo, ora ha finito di incidere un CD, poi ha un nuovo spettacolo, poi aspetta un figlio... beh... non proprio lui ma non mi stupirei che fosse incinto pure lui.
Mi diverte e mi fa arrabbiare Giovanni, perché fa finta di essere disincantato e senza speranza, ma pochi secondi dopo lo vedi guardare i suoi ragazzi con occhi pieni d’amore e di determinazione. Ma non glielo dite, che sennò perde l’aria da cinico che ogni tanto si vuole mettere addosso.
Ogni volta che ho conosciuto persone come Giovanni, come Miloud dei ragazzi di Bucarest, come Patch Adams, come tanti sconosciuti che dedicano la loro vita con una passione invidiabile a quelle che tutti considerano “cause perse”, mi sono chiesta cosa li spinga, da dove parta tanta volontà, quale sia stato il fiammifero che ha acceso tanta determinazione.
Ieri Giovanni mi ha mandato un link, è una lunga intervista che ha rilasciato a un sito, Dialoghi Resistenti, e che racconta un po’ della sua storia. Mi è piaciuta molto e ve la ripropongo, almeno in parte.
Questa settimana Cacao lo dedichiamo a una bella storia, a un ragazzo che ha scelto di esserci, in questo mondo.
Buona lettura, Gabriella.

Giovanni Savino e il Tappeto di Iqbal

Sono cresciuto tra peperoni e zucchine da tagliare per ore di pomeriggio durante le feste dell’Unità che mio padre organizzava a Barra, piccolissimo con i miei fratelli più piccoli guardavo mio padre disegnare la grande salsiccia con cappello da cuoco e occhi giganteschi che raccontavano agli arrivati il menu del giorno.
Avevo pochi anni quando, con mio padre, andavo ai comizi di Natta, ogni volta che guardavo Natta pensavo fosse Totò.
Mio padre mi raccontava di un certo Guevara e mi teneva ore a guardare film forse un po’ troppo impegnativi per un bambino di otto anni. Era un po’ esagerato, uno di quelli che quando giocava Italia – URSS faceva il tifo per i sovietici, e del resto io cantavo l’Internazionale. Ma mio padre era l’eroe combattente che non si fermava di fronte a nulla e si incazzava con gente come Bassolino che veniva a fare il maestrino nella sezione del corso IV Novembre di Barra.
Ricordo mia madre che, non vedendo mio padre arrivare alle due di notte faceva la cosa più stupida che potesse fare...

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