Il mio nome e' Iran (seconda parte)

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Libri il mio nome è Iran davar ardalanCarissimi,
questa settimana vi proponiamo un secondo brano dal libro "Il mio nome e' Iran", di Davar Ardalan.
Avvincente, piacevole e incorniciato da una raffinata prospettiva storica, "Il mio nome e' Iran" e' il racconto appassionato di una donna cresciuta tra tradizione iraniana e valori occidentali.
E' un libro che narra un'affascinante epopea familiare: tre generazioni di donne eccezionali le cui vite si intrecciano tra politica, religione e sentimento.
Donne divise tra due paesi amati, ma nettamente separati: l'Iran e l'America.
In questo breve brano il racconto di quando l'autrice dagli Usa torna in Iran nel 1983, in piena rivoluzione islamica.
Buona lettura!

Capitolo 9
TEHERAN
1983-1987

Partii che in America era giorno, arrivai in Iran in piena notte. A casa trovai ogni cosa come l'avevo lasciata tre anni prima, le magliette nel mio armadio erano ancora piegate cosi' come le avevo riposte.
Il filo di perle che mio padre mi aveva portato da un viaggio in Giappone era ancora posato sul como'.
Sentivo la stessa musica che aveva riempito le mie giornate a Teheran: il fruttivendolo che camminava in mezzo alla strada vendendo le sue merci, il bahrfi - lo spalatore di neve - che vagava per le strade in inverno, il richiamo alla preghiera da una moschea. Non erano solo canzoni e preghiere quelle che sentivo, ma anche la recita delle poesie - mitiche, mistiche, moderne - ogni volta che accendevo la televisione o ascoltavo la radio. Era come se i suoni ritmici fossero parte stessa dell'anima iraniana.
Anche se la vita domestica non era cambiata, compresi ben presto che io invece lo ero. Ancora una volta, e persino a casa, non avevo idea di chi fossi. Stavo sopprimendo i miei sentimenti e mi stavo identificando troppo fortemente con le persone che mi circondavano; eppure sentivo che, se mi fossi arresa completamente, avrei potuto essere respinta. Il rifiuto, la separazione e l'abbondano avevano lacerato la mia anima; non potevo permettermi di correre di nuovo questo rischio.
Non ero mai stata davvero interessata a praticare la mia religione. Era stata zia Maryam, la sorellastra di mia madre nata dal secondo matrimonio di mio nonno Abul Qasim, a insegnarmi le preghiere quando ero bambina. Maryam era esattamente l'opposto di mia madre in tutto, tranne che nei suoi principi islamici. Era cresciuta in Iran da genitori iraniani, anche se non religiosi. Sposandosi, era entrata a far parte di una famiglia iraniano-turca che seguiva rigidamente i dogmi dell'Iran sciita, apprendendo ogni cosa dalla sua devotissima suocera. La sua vita familiare era stata felice, con quattro figlie che erano divenute le mie sole amiche: all'epoca tutte le mie vecchie conoscenze avevano lasciato l'Iran.
La zia Maryam e suo marito Mohammad erano attivamente prodigati per la Rivoluzione. Dal momento che pensavano che la loro religione fosse poco compresa in Occidente, incoraggiarono mia madre a tradurre libri dal persiano in inglese (ma non le opere di Shariati, che rimase un autore controverso anche dopo la Rivoluzione), libri sulle pratiche di culto dell'Islam come la preghiera o il digiuno. Alla fine, mia madre tradusse un libro con mio zio Mohammad, sulle cinque preghiere rituali.
Io volevo capire meglio la condizione delle donne devote alla religione. La zia Maryam mi racconto' di due donne che avevano vissuto alla Mecca e che erano divenute veri e proprio modelli per la tradizione islamica. Sperava che i suoi racconti riuscissero a ispirarmi e a infondermi nuova fiducia.
La prima donna, Agar, appare nel Vecchio Testamento e svolge un ruolo centrale tra tutti i discendenti di Abramo. Allora come oggi, La Mecca era circondata dal deserto, a 80 chilometri dal Mar Rosso, e aveva un solo pozzo, Zamzam, che esiste ancora e fu scoperto proprio Agar, la seconda moglie di Abramo, e da suo figlio Ismaele.
Agar era una schiava etiope che Abramo aveva lasciato alla Mecca con il loro figlio piccolo. Mentre Agar correva tra due colline per cercare l'acqua in quella che era una terra desolata e desertica, il figlio comincio' a piangere e a dare calci al suolo, scoprendo cosi' il pozzo.
Agar inizio' quindi a barattare acqua con le carovane di passaggio, per ottenere in cambio cibo e altri beni. Fu questa attivita' commerciale a segnare la nascita della Mecca, citta' fondata da una donna.
In onore di Agar e dei sacrifici che sostenne in quanto progenitrice delle tribu' arabe che fanno risalire la loro stirpe ad Abramo tramite Ismaele, anche oggi i pellegrini che si recano alla Mecca compiono sette volte lo stesso percorso che fece Agar tra le due colline.
Mi stupi' molto apprendere che era stata una donna a fondare una citta' che accoglieva ogni anno due milioni di persone in occasione del pellegrinaggio rituale.
Il secondo personaggio a cui la zia Maryam faceva riferimento era Khadija, era una delle donne piu' ricche dell'intera Arabia. La donna, vedova quarantenne, era dotata di notevole senso pratico e acquisi' molte carovane composte da centinaia di cammelli, che faceva partire due volte all'anno. Nel periodo invernale, quando l'acqua era disponibile lungo il percorso e faceva piu' fresco, la sua carovana si muoveva verso la Siria; in estate, invece, verso l'Etiopia.
Khadija sposo' il Profeta Maometto, al quale fu lei a fare la proposta di matrimonio, e divenne la madre di sua figlia Fatima.
Mi parve strano che, in una cultura che io avevo sempre pensato dominata dai maschi, una donna potesse chiedere a un uomo di sposarla.
Anche se non avevo ancora considerato l'idea del matrimonio, questa storia in qualche modo mi fece pensare che, se avessi incontrato qualcuno, avrei potuto chiedergli di sposarmi.

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