Tegno nelle mane occhi e orecchi Michelagniolo

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Questa settimana vi presentiamo un libro di Dario Fo: Tegno nelle mane occhi e orecchi Michelagniolo. Il libro e’ edito dalla Franco Cosimo Panini ed e’ a cura di Franca Rame.
Ve ne proponiamo un brano dove Dario Fo racconta della realizzazione del David ma questo e’ un libro da vedere oltre che da leggere, cosi’ da gustare appieno l’opera del grande Maestro Michelangelo Buonarroti raccontata da un altro grande Maestro: Dario Fo.

Il David

L’eco del successo del grande dipinto della Deposizione del Cristo, ma soprattutto della Pieta’, quella in cui la Madonna tiene sulle sue ginocchia il figliolo, giunge fino a Firenze da dove il governo della Repubblica, nell’agosto del 1502, propone a Michelangelo di colpire il David, una statua, meglio, un monumento in marmo di cinque metri e piu’, eletto a emblema della citta’ e della sua indipendenza.
Il Buonarroti, pensando a Davide, non puo’ fare a meno di ricordare le due statue, una in marmo, l’altra in bronzo, eseguite dal grande Donatello, suo primo punto focale nella scultura.
Michelangelo, per questa statua, si avvale di un blocco di marmo gia’ sbozzato quarant’anni prima da Agostino di Duccio, valente scultore di Firenze.
La grande pietra abbozzata si trovava abbandonata nel cortile dell’Opera del Duomo. Era alta piu’ di cinque metri. Michelangelo con qualche colpo di scalpello ne misuro’ la consistenza. Trovatovi un buon marmo, qualche giorno appresso, il 13 settembre dello stesso anno, comincio’ a lavorare al progetto con piu’ decisione e fermezza. Per cominciare fece innalzare tutto intorno pareti e tetto, cosi’ da trovarsi al coperto senza dover spostare il masso, ma evidentemente lascio’ ampi spazi per la luce e li turo’ con lastre di vetro. E qui dobbiamo denunciare una certa superficialita’ piuttosto grave di molti narratori d’arte.
Chi ha pratica dello scolpire opere cosi’ imponenti, sa bene che solo nei film storici dell’arte, americani e purtroppo anche nostrani, si assiste alla messa in opera immediata con mazzuole e scalpelli, Nella realta’ il primo impatto con la scultura nasce sempre, o quasi, dai disegni: un numero notevole di bozzetti dove si descrivono movimento e gestualita’ visti da molte posizioni come se lo scultore girasse tondo tondo alla statua gia’ concepita nella sua mente.
Quindi si comincia a plasmare un modello in terra creta, della grandezza naturale; dalla creta si realizza il calco in gesso, e solo allora, rapportandosi sempre col modello, si inizia a scolpire nel marmo, ma col trapano. Un tempo il trapano era detto ad arco trillo, proprio perche’ veniva mosso per mezzo di un arco. La fune che lo tende avvolge l’asta dello strumento, Facendo trillare l’arco si trapana il marmo e si producono molti fori, ma certo non si procede a braccio bensi’ scientificamente. Tanto per cominciare si costruiscono due gabbie identiche con aste di legno e funi tese. Nella prima gabbia viene inserito il modello in gesso, nell’altra il concio di marmo da traforare. Riprendendo le eguali distanze dalle aste e dalle funi rispetto al modello si inizia a eseguire una lunga serie di trafori tutt’intorno al masso. Solo allora si interviene con lo scalpello e si libera la statua dalla pietra superflua: ecco finalmente apparire il vero nucleo dell’opera. Come diceva Michelangelo, cosi’ si e’ liberata la figura che restava prigioniera nella roccia.
A testimonianza di cio’, Michelangelo stesso scrive: “Davitte con la fromba ed io con l’arco: Michelagniolo! Rotta e’ l’alta colonna”, cioe’ a dire: “David ruppe il gigante colpendolo con la fionda, io l’ho vinto traforandolo col trapano ad arco”:
Ma con quale intento fu ordinato a Michelangelo di scolpire una statua di quelle dimensioni da porre nella piazza storica di Firenze? E’ di certo un gesto fortemente politico. Non va dimenticato che la Repubblica e’ nata con la cacciata dei Medici del 1494 e che, gia’ con Savonarola, i Medici s’erano affacciati protervi con l’intento di ritornarci. In poche parole, quella statua diceva esplicitamente ai Fiorentini: “Preparatevi, i tiranni stanno sempre alle porte. Non vi e’ permesso di dormire sonni tranquilli”.
Infatti sintetizzando diceva Soderini: “Come Davide noi siamo indifesi e ignudi d’armi. Solo la nostra determinazione e l’amore possente per la liberta’ possono armarci contro i tanti nemici che da ogni lato si preparano ad attaccarci. Solo cosi’ noi saremo giganteschi come questo Davide: preparati e invincibili”.
Di certo il viaggio della statua del David dal cortile dell’Opera del Duomo fino alla piazza della Signoria fu una vera e propria epopea trionfale, Antonio da Sangallo aveva progettato sia la gabbia che avrebbe dovuto contenere il monumento sia il carro che l’avrebbe trasportato, Una gran folla accompagnava il trasferimento: ragazzi e ragazze danzavano cantando; solo alcuni schizzinosi moralisti fischiavano e lanciavano pietre, indignati col Buonarroti e la Repubblica per aver mostrato un David con gli orpelli sessuali in sfacciata evidenza.