Burkina Faso: il paese delle sorprese (terza puntata)

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La terza sorpresa non è stata piacevole, purtroppo.
Il Burkina Faso, per quanto bizzarro e colorito nei suoi usi e costumi, è e rimane uno fra i paesi più poveri del mondo e certi giorni questa realtà te la sbatte brutalmente in faccia.
Al Centro Ghélawé c'è un minimo di rispetto delle condizioni igieniche, abbiamo un bagno/doccia bellissimo, le strutture sono costruite per non far morire di caldo le persone che ci abitano, chi sta male viene curato e si mangia tre volte al giorno.
In un certo senso abbiamo creato una piccola isola felice in un mare di problemi.

Una sera chiedo ad Ahmed di accompagnarmi al villaggio di Bamako per far visita ad altri bambini a cui il Centro Ghélawé, grazie ai vostri contributi, finanzia l'istruzione scolastica.
La mattina dopo partiamo, qualche km in moto e arriviamo ad alcune strutture che disteranno, a farla larga, 5 metri dal bordo della strada.
La nuova strada asfaltata che collegherà le città di Diébougou e Bobodiulasso passa a pochi metri dalla scuola, se un'auto esce dalla corsia entra dritta nella terza elementare. Ad ogni passaggio di qualsiasi mezzo di trasporto si alza una nube di polvere che si divide tra la prima e la seconda classe.
E' ora di ricreazione e tutti i bambini ci accolgono festosi, soprattutto per i tre sacchetti di caramelle che teniamo in mano...
I 25 scolari da noi finanziati si rivelano subito, avvicinandosi e salutando uno a uno. 25 buongiorno, ci sono tutti.
Ci sediamo con gli insegnanti e passiamo subito al sodo. Non lo avessimo mai fatto.
Chiedo di conoscere Palenfo Nwènrou (http://centroghelawe.blog.kataweb.it/archives/110), una bambina amputata di un braccio e orfana, che abbiamo conosciuto e iscritto a scuola a novembre.
Quando arriva la guardo negli occhi ed è triste, si vede subito, sorrido, lei no. Le porgo la mano, la sua non stringe, le chiedo come sta, lei non risponde.
L'insegnante interviene e dice che è timida.
Palenfo si gira e se ne va, la perdo di vista.
Torno a parlare con il gruppo di insegnanti, la cui merenda è a base di chapalò, una birra di miglio, leggermente alcolica, che bevono per non sentire la fame.
Mi raccontano che c'è un bambino che da un mese non scrive perché ha finito il quaderno e i genitori non hanno i soldi (un euro) o l'interesse per comprarne uno nuovo.
Mi fanno vedere una bottiglia di plastica da mezzo litro, riempita per metà di To, la tradizionale polenta di miglio. Non c'è la salsa di pomodoro e per molti bambini quello è l'unico cibo per tutto il giorno. Mezza bottiglia di polenta di miglio imbevuta nell'acqua.
Altri mangiano solo un mango e fanno 3, 4, 5 km a piedi per andare a scuola. Dopo un'ora di lezione si addormentano sui banchi, sono deconcentrati, stanchi e fanno casino.
In prima elementare ci sono 97 bambini, 50 maschi e 47 femmine. Per far stare tutti hanno preso un'aula a 300 metri dal complesso scolastico. Tutte le strutture hanno porte, finestre e tetti in lamiera, fuori ci sono 40 gradi, dentro di più.

I bambini rientrano nelle loro classi e noi facciamo il giro per distribuire le caramelle, ritrovo Nwènrou. Sorrido, lei no, incrocio i suoi occhi pieni di tristezza e mi viene da piangere.
Per fortuna Ahmed è bravo, mi dice che qualche volta verrà a prenderla per portarla al Centro, farla mangiare bene e stare un po' in compagnia. Ne deve parlare con la nonna che ce l'ha in affidamento, ma non dovrebbero esserci problemi.
Problemi che invece continuano a valanga per quanto riguarda la scuola: non c'è un piccolo orto, nè un frutteto, sarebbero disposti a fare tutto ma non ci sono i soldi.
“Il governo?” chiedo.
“Qui non esiste”.
Mi raccontano che c'è un progetto di legge per abolire le tasse di iscrizione scolastica e distribuire nuovi finanziamenti agli istituti. La notizia è ufficiale ma di fatto non se ne è saputo più nulla.
Inoltre è in corso una “decentralizzazione”, che in Burkina Faso sembra voglia dire scaricare tutta una serie di problemi (acqua, scuola, sanità) sui villaggi, con sindaci analfabeti e senza soldi.
Parla e risponde Ahmed, io ormai sono fuori gioco.
Prima di andarcene lascio una banconota da mille franchi per acquistare un quaderno e una penna al bambino affinché, dopo un mese, possa ricominciare a scrivere.

(Continua la settimana prossima)