Lo zen e l’arte di vincere: Questioni pratiche

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Ho potuto constatare quanto molti tengano in disprezzo le questioni pratiche, tecniche, i dettagli.
Di fronte alle accuse rivolte a Rutelli per i 13 milioni di euro rubati dalle casse della Margherita, lui, presidente del partito, ha detto che non poteva accorgersi dell’ammanco: “Non sono un ragioniere!”
Ecco, appunto, disprezzo dei dettagli… Sostanzialmente ha detto: “Ho cose più importanti di cui occuparmi che guardare i conti!”
Se deciderai di realizzare un progetto, qualsiasi progetto, trarrai grande giovamento dall’applicarti innanzi tutto a capire il problema che hai di fronte cercando di avere un quadro il più possibile preciso della situazione.
Per spiegarmi farò qualche esempio.
Innanzi tutto vorrei osservare che sono molteplici gli esempi storici di questo fatto.
Ad esempio, l’invenzione del motore a vapore avvenne a metà del 1700. Veniva usato per azionare pompe che spingevano aria nelle miniere.
Ci vollero però decenni perché questo motore, attraverso successivi piccoli miglioramenti, diventasse tanto efficiente da poter essere utilizzato per azionare i telai, dando così inizio alla rivoluzione industriale. E anche i telai dovettero essere modificati per poter lavorare bene, azionati dalla forza meccanica. Solo nei primi decenni del 1800 si arrivò, per successivi progressi, a concepire un sistema organico che permise poi di estendere l’uso del motore a vapore a decine di applicazioni e usarlo addirittura per far muovere i treni.
Osservando come le nuove tecnologie si sviluppano si è arrivati a identificare una categoria fondamentale di individui: i perfezionatori.
I grandi inventori compiono un salto evolutivo nelle tecnologie ma le loro scoperte restano inutilizzate se non ci sono tecnici abilissimi che apportando una serie di migliorie all’invenzione iniziale e così la rendono veramente competitiva rispetto alle tecnologie in uso.
Ogni rivoluzione tecnologica è il frutto dell’azione combinata di inventori e perfezionatori.
Il primo computer fu costruito dagli inglesi durante la seconda guerra mondiale per decrittare i messaggi in codice del Terzo Reich. Alla fine della guerra questo macchinario, considerato segreto militare, venne distrutto.
Solo anni dopo altri arrivarono a costruire un computer.
Si trattava di macchine enormi.

Negli anni settanta si riuscì a miniaturizzare i circuiti elettronici. Ma le aziende che producevano questi circuiti non si rendevano conto del loro valore potenziale. Venivano utilizzati per funzioni semplici come la programmazione delle fasi di lavaggio di una lavatrice domestica.
Anni dopo esistevano studenti fantasiosi che si dilettavano scrivendo linguaggi macchina, cioè sequenze di ordini che i computer potevano eseguire. La Xerox aveva un laboratorio dove era stato inventato un sistema di comunicazione semplice e intuitivo, tra uomo e macchina: le icone che si aprivano diventando cartelle, il mouse…
E c’erano anche persone che avevano scritto dei programmi operativi. Bill Gates non aveva fatto niente di tutto questo ma aveva capito che unendo le 3 invenzioni si poteva costruire qualche cosa di completamente nuovo.
Ma questi rischiano di essere grandi esempi poco applicabili al quotidiano...
Voglio quindi raccontarti qualche esperienza terra terra.
Nel 1999 ad Alcatraz avevamo un grosso problema: il ristorante ci costava troppo e rischiavamo di chiudere.
Non riuscivamo a mantenere i prezzi bassi, pagare i dipendenti in regola e servire cibo biologico di alta qualità.
E non riuscivamo neppure a incrementare il numero di pasti. Avevamo raggiunto il nostro tetto fisiologico e sperare in un ulteriore aumento dei frequentatori era difficile. Avevamo più ospiti della maggioranza degli agriturismi della zona.
Non volevamo alzare i prezzi, pagare meno i dipendenti o abbassare la qualità del cibo e non vedevamo nessuna soluzione alternativa.
Poi Eleonora Albanese, mia moglie, propose di passare a un servizio self service e smettere pure di apparecchiare e sparecchiare. Le persone che venivano a Alcatraz avrebbero avuto il meglio, cucinato da persone pagate il giusto, a un prezzo ribassato, ma avrebbero dovuto darci una mano.
Questo piccolo cambiamento ebbe una serie di ricadute che non avevamo previsto.
Non solo tagliammo il costo dei camerieri che servivano in tavola ma riducemmo da un’ora e un quarto a 45 minuti la durata dei pranzi e quindi diminuimmo le ore lavorate dalle cuoche. Facendo così non licenziammo nessuno… In effetti un altro nostro problema era quello di trovare persone valide per il ristorante. Abbassando le ore di lavoro complessive potemmo fare a meno dell’affannosa ricerca di persone valide.
Una nota di chiarimento: in Italia si parla di disoccupazione. Un problema enorme che però è collegato a quello di una scuola che non prepara le persone al mondo del lavoro. Quindi è pieno di disoccupati ma quando ti metti a cercare una persona da assumere (in regola e con paga sindacale) hai grandi difficoltà. Costruire una squadra di lavoro efficiente è veramente un’impresa. Estenuati da questo problema alla fine abbiamo deciso di passare da 130 coperti a 80. Certamente una grossa perdita. Ma anche qui bisogna fare attenzione: se hai un tetto di 130 coperti non sempre hai 130 persone che mangiano veramente, ma devi pagare un gruppo di lavoro più numeroso. Inoltre in una squadra più grande è più facile che ci sia qualcuno che non lavora bene ed è più difficile organizzare le cose. Quindi alla fin fine abbiamo visto che il bilancio del ristorante migliorava rinunciando a sfruttare al massimo le potenzialità in termini di numero di pasti...

Ma torniamo ai risultati dell’idea del self service.
Dicevo: diminuzione delle ore di durata di ogni “servizio”. Ma oltretutto le persone si dimostrarono soddisfatte di non dover aspettare e potersi servire da sole.
Perdemmo un certo tipo di clientela che voleva essere servita al tavolo ma ci guadagnammo anche perché, partecipando un poco al lavoro, gli ospiti si sentivano “a casa loro”. Inoltre le persone potevano servirsi quante volte volevano al buffet e se per caso i piatti proposti non erano di loro gradimento potevano chiedere qualche cosa d’altro senza nessun sovrapprezzo.
In realtà il 99% delle persone era soddisfatta del menù proposto ma questa opportunità dava comunque un senso di libertà agli ospiti contribuendo a creare un clima gradevole.
Il risultato di tutto questo fu l’aumento del numero dei soci del nostro ristorante che ritornano (Alcatraz è un’associazione).
Oggi usiamo ancora questo sistema che ci ha permesso di risparmiare enormemente, di dare un servizio migliore e di non fallire. E siamo addirittura sulla guida dello Slow Food dei migliori ristoranti, il che ha aumentato ulteriormente il numero degli avventori, rendendo finalmente produttivo economicamente il nostro servizio di ristorazione.

Parrucchieri
Sono più di 15 anni che tengo corsi per i parrucchieri.
Questo successo nasce da una piccola intuizione: i parrucchieri per signore sono gli psicologi di massa.
La maggioranza delle donne va dal parrucchiere per parlare e spesso i parrucchieri, alla sera, sono distrutti psicologicamente.
Ho così proposto un programma basato sui giochi dello Yoga Demenziale e sulle modalità di comunicazione e di ascolto delle emozioni per migliorare le proprie capacità come psicologo di massa.
A furia di parlare del lavoro di tagliare i capelli e pettinarli ho aggiunto alle mie lezioni uno spazio di condivisione.
Chiedo a ognuno di descrivere come accoglie le persone, che tipo di modalità mette in atto.
Quel che viene fuori ogni volta che 40 parrucchieri iniziano a raccontare come lavorano è che a secondo della loro zona, tipologia sociale delle clienti e passioni, hanno elaborato strategie molto precise. Chi gestisce un salone, ascoltando i racconti dei colleghi viene sollecitato da nuove idee e trova spesso soluzioni da applicare nel proprio negozio sviluppando le idee degli altri.
Ci sono parrucchieri che lavorano con un pubblico “di fascia alta”. Donne per lo più molto impegnate che non hanno voglia di chiacchierare ma solo di starsene in silenzio ed essere “accudite”. Chi gestisce saloni di questo tipo fa scelte conseguenti. Ad esempio, la porta del salone è chiusa. Si deve suonare e un’inserviente accoglie la cliente e la guida in sala d’attesa o alla sua postazione, scambiando solo frasi formali di ben venuto.
Il parrucchiere di paese funziona in modo completamente diverso. La porta è sempre aperta, si instaura subito una conversazione, si offre un caffè, si raccontano gli ultimi scoop mondani. Spesso questi saloni sono diretti da persone che hanno una grande passione per le relazioni, mandano gli auguri a casa per il compleanno (si chiede il giorno di nascita, mai l’anno), offrono abbonamenti scontati alle clienti affezionate, organizzano piccole feste.
Alcuni saloni si dedicano addirittura a organizzare scherzi innocui, tipo telefonare a tutte le clienti prenotate dicendo che si è rotta la lavatrice e chiedendo di portare asciugamani. Poi si fanno perdonare lo scherzo con piccoli regali. A una signora è poi capitato che tutte le sue inservienti, le clienti e i negozi vicini si siano messi d’accordo per una divertente vendetta.
Hanno fatto girare falsi avvisi della protezione civile che annunciavano un’esercitazione e chiedevano a tutti di svolgere le loro attività commerciali in strada.
E la padrona del negozio ha accettato predisponendo sul marciapiede poltroncine, tavolini, specchi e quant’altro.
Hanno così iniziato ad acconciare i capelli sul marciapiede quando una piccola folla si è radunata per canzonare la proprietaria.
Questo salone ovviamente è tutto incentrato sul contatto umano e sul gioco e trae da lì il suo successo.
Altri hanno trovato vie differenti. Ad esempio, c’era un esercizio che non funzionava molto bene: poche clienti. Il proprietario era però appassionato d’arte e di artigianato e ha iniziato a esporre nel salone ogni sorta di creazione, dalle sculture, ai quadri, alle borse e ai cappelli fatti a mano.
La qualità delle opere proposte ebbe grande successo e finì per diventare la voce principale di guadagno facendo per di più da traino per attirare una nuova clientela, persone particolari che amano l’arte e con le quali il gestore aveva evidentemente più feeling.
Per tutti i saloni la vendita di prodotti di bellezza è una voce di incasso importante. Ma alcune imprenditrici sono diventate così esperte nel settore da preparare direttamente creme casalinghe e poi arrivare a ordinare a ditte specializzate la produzione di creme di altissima qualità. In questo modo hanno incrementato il successo del loro salone e poi hanno iniziato a vendere anche all’ingrosso i loro prodotti.
Quando si inizia a perfezionare il proprio modo di lavorare, l’essenziale è di saper seguire la propria indole, le proprie passioni.
Se una persona ama chiacchierare non dovrebbe mai andare a offrire i propri servizi in un quartiere chic.
E se una persona odia gli scherzi è inutile che tenti una gestione ilare della sua attività.
Ed è importante capire fino a che punto i nostri desideri sono malleabili, flessibili.
Se non riesci a fare una cosa, osserva se ci sono possibilità di cambiare non quello che fai ma come lo fai.
C’è un detto che recita: Non è importante quel che fai ma come lo fai. Beh, credo sia una stronzata. Quello che fai è fondamentale. Però COME lo fai è altrettanto importante.
Il MODO fa la differenza tra successo e insuccesso e anche tra giusto e sbagliato.
Intorno al 1960 il grasso occidente si rese conto che in Africa morivano milioni di persone di fame.
Molte persone di buon cuore raccolsero grandi quantità di denaro, riempirono di cibo molte navi e andarono là dove c’era la fame a distribuire gli aiuti alimentari.
Una buona azione che provocò una vera e propria ecatombe.
Dove arrivavano le navi cariche di cibo i contadini non riuscivano più a vendere gli alimenti che avevano prodotto, visto che al porto li regalavano.
Così migliaia di agricoltori non riuscivano a vendere i raccolti e finivano rovinati economicamente. E l’anno successivo aumentava a dismisura il numero degli affamati.
E le persone di buon cuore, con i loro aiuti, non riuscivano a far fronte all’aumento dei bisogni…
A partire da queste prime esperienze disastrose si capì che era necessario supportare le attività produttive e la formazione culturale professionale laddove c’era la miseria.
Bisognava aiutare gli affamati a sfamarsi da soli invece di regalare loro del cibo. (A questo proposito ti consiglio di leggere “Il banchiere dei poveri” del Premio Nobel Mohammad Yunus).
Dar da mangiare agli affamati, di per sé è giusto… Bisogna però vedere come lo fai.
Quindi se non riesci a portare a buon fine il tuo progetto vedi un po’ che aggiustamenti si possono fare… A volte è proprio questione di poco e la soluzione ce l’hai di fronte quando ti guardi allo specchio: le tue particolarità.
Edison fece più di mille tentativi prima di costruire una lampadina che funzionasse bene. Poi il modo di vivere degli esseri umani cambiò radicalmente. Potevamo illuminare la notte.

 

INDICE DEGLI ARTICOLI PRECEDENTI (in ordine di lettura)

1 - Lo zen e l'arte di vincere

2 - Non esiste un modo certo per avere successo. Esiste però un modo certo per mandare tutto a scatafascio.

3 - Come fallire in maniera pazzesca

4 - Reprimere i desideri fa male, molto male

5 - Le vie della perfezione sono finite

6 - Il senso della realtà. Agire con passione, agire con metodo!

7 - Non ho potuto arrivare in orario perché c’è stato uno tsunami.

8 - Lo spirito di sacrificio o lo spirito del gioco?

9 - Che la grande Illuminazione sia con te

10 - Come fallire per troppo successo

11 - I salti logici uccidono più dell'Aviazione americana

12 - Hai una missione da compiere: alzati e combatti

13 - Per vincere tocca essere cattivi?


Commenti

è bello sentire esempi pratici di come possiamo dare il meglio di noi, se vogliamo, se poniamo attenzione, se curiamo le relazioni tutte, se condividiamo i saperi.. quando apriamo la visuale! grazie jacopo

E auguri per giornate esageratamente fortunate!